Non trovi che la tua bicicletta somigli a una bella ragazza?
E che lui, accarezzando il cuoio morbido del sellino, abbia risposto:
Troppa magra per i miei gusti.
Ma levategliela, la bicicletta, da sotto il sedere di Ginettaccio. Levatelo, il sogno della bicicletta, a uno come Curzio Malaparte, che nel 1949 si prese anche la briga di scrivere di Coppi e Bartali per i francesi, con qualche parolina che magari fece anche indispettire i cugini di Oltralpe.
In Italia la bicicletta appartiene a pieno titolo al patrimonio artistico nazionale, esattamente come la Gioconda di Leonardo, la cupola di San Pietro o la Divina Commedia. Ci si stupisce che non sia stata inventata da Botticelli, Michelangelo o Raffaello.
In Italia, se per caso dite che la bicicletta non è stata inventata da un italiano, intorno a voi gli sguardi si faranno cupi e sui volti calerà una maschera di tristezza
Solo che non era più nemmeno una questione di rivalità. Era solo una questione di bellezza, la stessa bellezza di cui aveva parlato Oriani.
Ma guardatela! Guardate il suo profilo slanciato, elegante, essenziale, la sua linea perfetta, rigorosa come un teorema di Euclide, semplice e al tempo stesso capricciosa come la crepa incisa dal fulmine nello specchio azzurro di un ciel sereno. Guardate la forma del manubrio, ricurvo come le antenne di un insetto, e quelle due ruote che tanto ricordano il famoso cerchio tracciato con un solo tratto di carboncino, su una pietra, da un piccolo pecoraio di nome Giotto....
Giocava facile, Malaparte, a ricordare che sia Giotto che Ginettaccio erano nati dalle parti di Firenze. Però non era questo, non era decisamente questo. Piuttosto era ancora un'idea di leggerezza e meraviglia.
Ci chiediamo come possa stare in piedi ed ecco che lei prende il volo, in equilibrio su un invisibile filo d'acciaio, come un acrobata sulla fune.
In silenzio trafigge lo spazio, in silenzio entra nel tempo. Senza un briciolo di pudore, viola tutti i misteri del paesaggio, dell'orizzonte, della natura. Scivola sulla strada come sul filo di un rasoio, inclinandosi con grazia nelle curve, dondolando dolcemente in salita, gettandosi alla cieca verso le verdi vallate, verso l'abisso delle pianure assolate
Libertà, leggerezza, meraviglia. Gli stessi sentimenti dei velocipedisti delle Cascine, centauri che sfidavano i tempi e che quella gelida mattina di febbraio, ultimo anno di Firenze capitale, non erano lì solo per disputarsi una medaglia.
Perché c'era un'idea di progresso che pedalava con le loro gambe.
Un'idea di libertà, leggerezza e meraviglia. E di bellezza, tanta bellezza.
(da Paolo Ciampi, La prima corsa, Mauro Pagliai)