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…Ed eccomi qui, nel giorno del mio trentacinquesimo compleanno. Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei ritrovato a scrivere questo post da casa, con un orecchio alla tv per sentire se arriva un’altra scossa, la giacca appesa alla porta di casa pronta per un’evacuazione lampo, e poca, pochissima voglia di scrivere.
Stamattina mi sono presentato al solito treno delle 7:34, pronto per andare al lavoro senza sapere cosa avrei trovato nel (e del) mio ufficio. Quando l’ho lasciato venerdi il mio pc e tutte le altre carte che stavano sulla scrivania stavano sparsi sul pavimento, tra vetri rotti e polvere. Ma a dispetto di quello che puo’ sembrare la situazione non e’ stata cosi’ tragica: in fondo nessuno si e’ fatto male, qui a Tokyo c’e’ andata bene. In effetti a nessuna delle persone che conosco e’ successo nulla, spavento a parte.
Il fine settimana e’ stato paradossale. La Metropoli Tentacolare era spenta, silenziosa. Poca gente in giro, probabilmente tutti a casa attaccati alla tv, che in tutti i canali per due giorni ha fatto un non-stop di news senza interruzioni pubblicitarie. E chi conosce la televisione ultracommerciale giapponese sa cosa possa voler dire non vedere pubblicita’ o sponsor.
Sabato i supermercati nella mia area sono rimasti chiusi, mentre ieri hanno aperto e c’e’ stato il prevedibile assalto. E gia’ ieri la vita sembrava ripartire, lentamente. I treni hanno iniziato a circolare senza troppi ritardi, i centri commerciali hanno aperto fino alle sei di sera. In giro un po’ di gente, nei pochi ristoranti aperti qualche gruppo di persone.
Stamattina sembrava tutto “quasi” normale. Sono partito da casa con un paio di certezze. La prima, che non sarebbe stato un giorno qualunque: siamo in shortage di energia (non ricordo come dirlo in italiano); sembra che oggi per tre ore, a turno, tutte le aree di Tokyo soffriranno un black out. La seconda certezza e’ che non sarebbe stato facile arrivare al lavoro. E infatti, non ci sono proprio arrivato; il treno ha finito la corsa tre fermate prima della mia. In stazione mi hanno detto che avrei dovuto camminare fino a una stazione vicina a prendere un’altra linea, da li’ arrivare a Kawasaki e prendere un autobus. Io sono andato nella stazione vicina ma mi sono trovato di fronte a una tale fila di persone che ho preso il telefono e chiamato il mio capo, dicendogli “forget it, vado a casa“. Solo dopo un altro paio di chiamate a colleghi ho scoperto che bene o male tutti erano rimasti a casa. Oggi piu’ che controllare l’edificio non si sarebbe potuto fare in ogni caso.
E quindi eccomi a casa, con un orecchio alla tv, la giacca appesa alla porta, una borsa con un cambio di vestiti e altri effetti personali, pronta in caso di emergenza. Le ultime notizie danno per molto probabile un’altra forte scossa qui a Tokyo nel giro dei prossimi giorni. Sembra che tutti la stiano aspettanto, anche se tutti confidano che tutti si stiano sbagliando.
Dall’Italia la situazione di Tokyo e’ stata dipinta in maniera molto piu’ tragica di quello che sia. Solita stampa sensazionalistica, figurarsi. Alcuni giornalisti hanno come al solito ingigantito, drammatizzato e confuso le cose per far sembrare quello che non e’. Ripetiamo, se non si fosse capito, che Tokyo e’ tutta intera. Sono morte 5 persone o poco piu’, da quel che vedo in tv. Il disastro dello tsunami e’ avvenuto su a nord, a centinaia di chilometri. Non soffriamo alcun pericolo di radiazioni, non c’e’ problema. Cari lettori: se c’e’ un posto al mondo che e’ preparato per un evento del genere, quello e’ il Giappone. Sono morte alcune migliaia di persone, ok, ma se guardate le liste scoprirete che la maggior parte e’ over 60: ovvero, la gente che non e’ riuscita a scappare. Una cosa e’ certa, se fosse successo in qualsiasi altra parte del mondo cosi’ densamente popolata, ora staremmo a contare non le migliaia ma le centinaia di migliaia.
Detto questo, vorrei fare una richiesta a tutti gli italiani che mi hanno scritto su facebook o mi hanno messaggiato. Vi ringrazio per la preoccupazione, ma qui sto bene. Per favore, solo, smettetela di chiedermi di tornare in Italia. Per quale motivo fuggire, abbandonare? Io qui ho la mia vita, il mio lavoro. Come potrei sentirmi in pace con me stesso nell’abbandonare gli amici e i colleghi in un momento cosi’? Con che faccia?
Alcuni, lo so, non possono capire. Ma il bello, lo sapete? E’ che il problema e’ loro, e non se ne rendono nemmeno conto.