Nel nome del padre - Recensione - PC

Creato il 27 gennaio 2016 da Intrattenimento

Terminata l'esclusiva temporale su Xbox One, Rise of the Tomb Raider approda su PC con le immancabili migliorie tecniche

Lara Croft è cresciuta dopo il suo battesimo del fuoco, avvicinandosi a essere l'esploratrice scaltra e inarrestabile della serie classica. E così, per la sua prima avventura "volontaria", decide di seguire le tracce della Sorgente Divina, una fonte che secondo le leggende ha il potere di donare l'eternità a chi beve la sua acqua. Non si tratta di un obiettivo a caso: il padre di Lara, Lord Richard, ha dedicato la vita a tale ricerca e ne è stato letteralmente consumato, pur senza riuscire a portarla a termine. Gli indizi puntano alla Siberia, ed è su di una montagna innevata che si svolgono le prime, spettacolari sequenze di Rise of the Tomb Raider. Accompagnata dall'amico Jonah, la protagonista deve raggiungere la vetta del monte prima che una tempesta renda impossibile la scalata, ma il tempo stringe e le insidie lungo il tragitto sono molteplici. Sebbene queste fasi iniziali fungano in pratica da tutorial rispetto alle sezioni platform del gioco, l'eccellente regia e lo straordinario colpo d'occhio le trasformano in un'esperienza davvero coinvolgente, epica come dovrebbe essere una grande avventura.

twittalo! Rise of the Tomb Raider era uno straordinario titolo su Xbox One e lo è a maggior ragione su PC

Cambio di passo

Fra pareti di ghiaccio che crollano, salti apparentemente impossibili e lunghe corse verso la salvezza, lo stage iniziale di Rise of the Tomb Raider si conclude con un flashback risalente a due settimane prima, quando tutto è cominciato in quel di Londra. L'ambientazione si sposta dunque alle prime ricerche di Lara sulla Sorgente Divina, effettuate in Siria, e cambia completamente rispetto alle lande innevate, catapultandoci nel mezzo di un deserto, fra città assediate e l'imminente pericolo rappresentato dalla Trinità, un'organizzazione di fanatici religiosi determinata a trovare la leggendaria fonte prima della ragazza. In tale frangente entriamo in contatto con alcune delle nuove meccaniche esplorative introdotte dagli sviluppatori, con la protagonista che ha la capacità di affinare la sua conoscenza delle lingue antiche consultando incisioni e dipinti, per arrivare infine a tradurre dei monoliti che contengono utili informazioni supplementari sulla mappa. Tutto confluisce nella stessa direzione, visto che è proprio l'elemento esplorativo a svolgere un ruolo di primo piano in Rise of the Tomb Raider, grazie alla presenza delle tombe e dei loro interessanti puzzle, ma anche di risorse da raccogliere e di prede da cacciare, andando a sviscerare (letteralmente) quegli aspetti che nell'episodio precedente, per un motivo o per l'altro, non avevano trovato posto.

L'importanza delle tradizioni

Il resto dell'impianto, al di là delle modalità di contorno (molto divertenti le Spedizioni, ma vi rimandiamo alla recensione della versione Xbox One per ulteriori dettagli) riprende quanto già fatto con il primo capitolo del reboot targato Crystal Dynamics, pur inserendo piccoli extra per arricchire ulteriormente il crafting e il sistema di combattimento. Quest'ultimo è caratterizzato dagli stessi pregi e dagli stessi difetti che avevamo notato in Tomb Raider: grandi difficoltà negli scontri a distanza ravvicinata e un'intelligenza artificiale dei nemici che proprio in tali frangenti viene a mancare, dimostrandosi invece discretamente valida nelle routine standard, quando gli avversari cambiano appostamento, distruggono le nostre barriere, lanciano granate per stanarci e, in generale, hanno un atteggiamento sufficientemente dinamico. La fase stealth risulta molto curata, grazie ai ripari nell'erba alta ispirati ad Assassin's Creed IV: Black Flag e alla possibilità di creare dei diversivi per modificare la composizione delle ronde e prendere di sorpresa singole guardie. È un peccato che queste validissime intuizioni vengano talvolta banalizzate da un livello di sfida tutto sommato modesto, in particolare a causa dell'abbondanza di munizioni e risorse a ogni angolo, fattore questo che anche nel nuovo episodio relega la caccia a un'attività sì presente e affascinante, ma allo stesso tempo facoltativa nell'ottica del crafting e mai fondamentale.

Da Xbox One a PC

Ci sono scelte di design che naturalmente rimangono comuni a tutte le versioni di Rise of the Tomb Rider, e che anche su PC disegnano il quadro di un prodotto maestoso durante le prime fasi, senz'altro fra le cose più belle che si siano viste negli ultimi anni nel genere action adventure, ma che poi si "adagia" nella sicurezza del solco tracciato con l'episodio d'esordio, livellando le proprie ambizioni anche in termini di impatto visivo. È per questo motivo che le ambientazioni della Base Sovietica o della Valle Geotermica non toccano le vette dei livelli introduttivi e di quelli conclusivi, ed è un peccato perché parliamo degli scenari più vasti e pieni di cose da fare, qualora si voglia completare la campagna al 100%; cosa che di certo non viene garantita dal procedere dritto per dritto verso gli obiettivi principali, bensì soffermandosi sui segreti delle location, sulle missioni secondarie che ci vengono fornite dagli alleati di turno e dedicandosi a tutta la fase esplorativa di cui abbiamo parlato in precedenza. In tal senso è chiaro che l'approdo su PC apporta un livellamento verso l'alto dello standard tecnico generale, grazie a texture visibilmente più definite, a un frame rate raddoppiato e a un'effettistica molto più avanzata, in particolare per quanto concerne la resa delle ombre e dei capelli. Diciamo subito che la tanto chiacchierata VXAO, la nuova tecnologia di occlusione ambientale a base di voxel targata NVIDIA, non ha trovato posto nella pre-release del gioco e verrà dunque aggiunta al lancio ufficiale, ma siamo fiduciosi che potrà migliorare ulteriormente un comparto grafico per alcuni versi già stellare, che riesce a sfruttare alla grande la spettacolarità delle ambientazioni e a miscelare in modo trasparente sequenze in CG, cutscene calcolate in tempo reale (con la solita versione migliorata dei modelli poligonali) e visuali in-game, il tutto al servizio della narrazione, proprio come nelle produzioni Naughty Dog. È confortante sapere che ci siano almeno tre team di sviluppo, là fuori (ci mettiamo anche Ready At Dawn con il suo The Order: 1886), in grado di coniugare in modo pressoché perfetto questi aspetti di un videogame. Una nota in calce anche per la localizzazione in italiano, caratterizzata da un doppiaggio che abbiamo trovato eccellente per interpretazione e cura del dettaglio: gli attori sono consapevoli della situazione in cui si trovano, merito senz'altro di una buona direzione e di qualche accortezza da parte di Square Enix, e persino la sincronia con il labiale risulta impeccabile.

Nel dettaglio

La versione PC di Rise of the Tomb Raider vanta numerose regolazioni avanzate. Nella schermata della risoluzione mancano le tecnologie di antialiasing specifiche di NVIDIA (niente TXAA, insomma), il che fa storcere il naso, ma gli ulteriori settaggi garantiscono una grande scalabilità dell'esperienza. È infatti possibile determinare la qualità delle texture e del filtro anisotropico, le ombre su due differenti livelli, l'occlusione ambientale (come detto ferma all'impostazione HBAO+, che garantisce comunque un colpo d'occhio notevole), la profondità di campo e il livello di dettaglio generale. Ci sono poi gli effetti di tessellatura, i riflessi sullo schermo, il fogliame dinamico, il bloom, la vignettatura sfocata e l'effetto mosso, nonché il bagliore lente e gli effetti dello schermo. La regolazione di ognuno di questi parametri si traduce in un eventuale miglioramento delle prestazioni, ma per le schede NVIDIA la chiave sta ancora una volta nei capelli. Il gioco include infatti la nuova tecnologia PureHair di AMD, che garantisce una resa realistica delle ciocche rispetto al vento e agli agenti atmosferici, in modo molto più bello da vedere rispetto al TressFX dell'episodio precedente, ma ugualmente problematico per chi non possiede una scheda prodotta da American Micro Devices. NVIDIA non ha ancora rilasciato i driver ottimizzati per Rise of the Tomb Raider, dunque la situazione potrebbe tranquillamente cambiare, ma ad oggi l'impatto di PureHair sulla configurazione di prova è di qualcosa come dieci fotogrammi al secondo. È incredibile come il solo calcolo "non ottimizzato" dei capelli produca un effetto tanto drastico sulle prestazioni del gioco, che in termini di conta poligonale ed effettistica muove ben altro, ma in campo aperto tenere attivato il PureHair ci ha riportato alla mente la prima release di Batman: Arkham Knight su PC, e non è stato piacevole. A nostro avviso un sistema dotato di un processore Intel di fascia medio-alta, una GTX 970 e 8 GB di RAM può far girare Rise of the Tomb Raider a sessanta frame al secondo stabili, a 1080p e con tutti gli effetti al massimo (a parte appunto i capelli), mentre con l'AMD FX 8320 utilizzato nei test abbiamo dovuto abbassare lievemente la qualità delle ombre per ottenere i medesimi risultati, con variazioni dai 40 ai 75 fps a seconda della situazione. Segnaliamo inoltre alcuni piccoli glitch e qualche visibile incertezza durante le cutscene in tempo reale, dovuta probabilmente alla velocità di caricamento degli asset: la prima patch dovrebbe risolvere tutto.

Requisiti di Sistema PC

  • Configurazione di Prova
  • Processore: AMD FX 8320
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 970 Jetstream
  • Memoria: 8 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 10
  • Requisiti Minimi
  • Processore: Intel Core i3 2100
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 650, AMD Radeon HD 7770
  • Memoria: 6 GB di RAM
  • Hard disk: 25 GB di spazio richiesto
  • Sistema operativo: Windows 7 a 64 bit

Pro

  • Visivamente spettacolare
  • Gameplay solido e variegato
  • Ottima localizzazione in italiano

Contro

  • Alcune questioni tecniche vanno risolte
  • Bilanciamento della difficoltà tendente al basso

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