Nel Paese delle ultime cose ho trovato una conferma. Semplice e forse anche un po’ banale: Paul Auster è un maestro.
Non dico che tutti debbano amarlo. Come ogni grande scrittore, avrà i suoi grandi pregi e i suoi grandi difetti. Non dico questo. Dico che Paul Auster è uno scrittore che conosce il suo bellissimo mestiere, il mestiere di scrivere, appunto.
Ti sa sedurre, ti sa far ridere e piangere, ti sa condurre. Ti sa far entrare nei panni di Anna, il protagonista femminile di questa storia, ti sa far percepire la disperazione degli abitanti della Città; ti sa far annusare la puzza, vedere le macerie, ascoltare le grida.
Paul Auster ti sa far entrare in questo Paese delle ultime cose: è una terra desolata dove “non c’è nulla che si spezzi tanto in fretta quanto il cuore“, e dove “i cuori infranti talvolta si riparano per mezzo del lavoro“. Già, un Paese dove lavorare è prendersi cura dei migliaia di feriti, è setacciare tra i rifiuti, è bruciare i cadaveri per farne energia.
Questo di Auster è un romanzo in cui, dopo essere entrati, ci si rimane incastrati. E io, incastrato da capo a piedi, non posso che consigliarvelo.