vince quella che mi abita,
il giardino sulla roccia del monte Gallo
sveglio di cipressi, palmizi e alberi sdentati
fra scale ombrate d’oleandri
e lampioncini gialli in mezzo ai rami.
È dove un giorno io
m’è rimasta l’anima impigliata.
È dove ancora nelle sere d’ottobre
davanti ai gatti schivi della villa
un vento la scuote
e la filtra una luna coi suoi raggi
come parte di una Realtà innegabile¹
fra panche di legno e profili di giare.
È dove oggi non io
al risveglio nel letto di un’altra città.
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¹ cito un verso da Semplicità di J. L. Borges (Fervore di Buenos Aires, 1923)