Com'è iniziata l'avventura di che ormai va avanti da oltre cinque anni?
Come una semplice suggestione: circa sei anni fa, in un periodo nel quale erano ancora i blog il mezzo per la diffusione d'informazioni, oltre che un modo per condividere le proprie passioni, anche io ne tenevo uno in cui aggiornavo costantemente una lista di link ad altri blog di autori di fumetti. Più di una volta mi ero divertito a incrociarne i nomi un po' come quando uno inizia a fantasticare con i nomi dei calciatori per costruire la propria formazione ideale.
Mi ero dunque divertito a immaginare quale potesse essere il filo conduttore che avrebbe potuto legare alcuni degli autori italiani che mi piacevano di più, e lo trovavo in una sorta di propensione verso il segno scuro, declinato nelle sfumature più diverse, a volte anche antitetiche tra loro.
Rimanevo però con l'amaro in bocca perché nessuno in Italia pubblicava quegli autori seguendo quel tipo di linea guida.
Tutto è davvero nato come un gioco, non essendo un editore e non volendolo essere in alcun modo, ma dopo l'esperienza con Rorschach e Comics Code mi ero riavvicinato alla scrittura. Mi è venuto così in mente un modo per coinvolgere questi autori e ho iniziato a contattarli, con la convinzione personale che ai primi "no" mi sarei fermato; invece i circa trenta autori cui ho scritto all'inizio hanno quasi tutti dato la propria disponibilità e da lì è partito tutto.
, cioè "Cani rugginosi": quando e come è nato il titolo?
All'inizio il progetto aveva un titolo di lavorazione che non svelo solo perché direbbe troppo riguardo alcuni aspetti importanti sul filo rosso che collega tutti gli episodi, ma sapevo dall'inizio che il titolo definitivo avrebbe dovuto contenere la parola cane, come omaggio a Storia di cani, l'unico esplicito presente nella serie. Inoltre, il cane è per me un animale che rappresenta tanto anche dell'essere umano, che può raccontare in maniera simbolica e metaforica tanti nostri aspetti; si dice che sia il miglior amico dell'uomo, ma può esserne anche il peggior nemico, quindi si possono creare dei cortocircuiti narrativi molto interessanti.
L'aggettivo è arrivato dopo che ne ho scartati alcuni troppo poco pregnanti ed esprime la dimensione urbana in cui si svolgono le storie, oltre a lasciare intendere una certa corruzione interiore della città, dell'animale e dell'uomo.
Essendo le storie ambientate in una New York teatrale, non realistica perché il quartiere da me descritto non esiste, questa New York doveva apparire in qualche modo rugginosa e infatti - fra gli altri - c'è un elemento ricorrente, dal punto di vista visivo e topografico, che è la sopraelevata. Questa, in qualche modo, rappresenta l'aspetto corrotto del quartiere e dei suoi abitanti.
Una domanda tecnica: come imposti il tuo lavoro di sceneggiatore su Rusty Dogs? Quando scrivi (giorno, notte, in negozio, a casa)? Hai un metodo di sceneggiatura particolare? Sei autodidatta o ti ispiri a qualcuno?
Sto in libreria dieci/dodici ore al giorno, ma è difficile che mi possa permettere di scrivere negli orari di apertura. Al limite posso fare delle ricerche di documentazione durante i tempi morti, mentre cerco di scrivere negli altri orari: arrivo in libreria la mattina alle 7,30 e mi metto a scrivere fino alle 9,00; poi nella pausa pranzo dalle 13,00 alle 16,00; la sera dalle 20,00 in poi e nei fine settimana.
Per quanto riguarda il metodo di scrittura, prima prendo appunti e cerco di immaginare tutta la storia. Se ho il finale ho già la storia, per questo cerco di partire sempre da un finale e risalgo successivamente a ritroso verso l'inizio. Poi ci sono le storie che vanno scritte in un certo modo perché servono all'economia della serie e in questi casi è più facile trovare lo spunto.
Un altro elemento molto importante è con chi realizzo la storia, perché ogni disegnatore ha esigenze diverse e, fino a ora, ho cercato di scrivere ogni episodio adattandolo alle specifiche caratteristiche di chi l'ha disegnato; e la soddisfazione più grossa forse avuta finora è quando mi dicono che quella determinata storia sembra sia stata scritta proprio per il disegnatore che l'ha realizzata.
Ogni disegnatore ha le proprie necessità: ci sono quelli che vogliono la sceneggiatura nuda e cruda e non cercano uno scambio continuo con me, ma ci sono anche quelli che hanno bisogno di un confronto costante su ogni aspetto della storia. A seconda dei casi, quindi, cambia anche il mio modo di scrivere.
Poi Rusty Dogs ha una serie di paletti sul tipo di griglia, sul numero di tavole che mi portano a scrivere in un determinato modo; anche il tipo di dialogo che uso in parte si adatta alla lunghezza fissa e per questo cerca di essere il più possibile elusivo e allusivo, ellittico.
Per quanto riguarda le fonti di ispirazione, direi che tutto concorre a portarmi a scrivere come scrivo: non solo le letture, le visioni o gli ascolti, ma anche l'origliare un dialogo per strada o rielaborare e adattare delle esperienze autobiografiche o personali di qualche amico.
Trovo grandissima la tua capacità di scrivere una storia, godibile anche al di fuori dell'opera nel suo insieme, in appena quattro tavole. Immagino che questo limite però ti abbia creato non poche difficoltà, spiegaci a cosa è dovuto questo limite che ti sei autoimposto.
È stato un limite imposto per motivi produttivi. All'inizio, quando ho contattato i primi disegnatori, dicevo loro che le storie avrebbero dovuto essere di una/due/tre o quattro pagine. Ero appena reduce dall'esperienza di pubblicazione sui primi tre numeri di Mono, la rivista di Tunuè composta da storie di una sola pagina, e mi ero molto divertito a scrivere tre storie diverse, disegnate da tre disegnatori diversi e in cui con poco eravamo riusciti a raccontare tanto. Fra l'altro, fino ad allora (a parte l'esordio con Xiola per la Liberty, scritto comunque insieme a un altro sceneggiatore, Antonio Solinas), oltre a quelle per Mono avevo pubblicato solo altre storie brevi: due capitoli di Killer Elite, entrambi di otto pagine e una breve di tre pagine comparsa in appendice al Donnell & Grace di Massimo Dall'Oglio.
Quando materialmente ho iniziato a scrivere Rusty Dogs, mi sono reso conto che una, due o tre pagine non servivano a niente; o meglio, io non avevo le capacità di condensare su distanze così brevi un qualcosa che somigliasse a una storia e che non fosse semplicemente una suggestione o uno spunto. Poi, dato che a tutti gli effetti Rusty Dogs è un prodotto seriale, la serialità è fatta anche di codici produttivi e non solo contenutistici, così, visto che i primi episodi già scritti erano di quattro pagine, ho pensato di usare quel limite come un codice per l'intero progetto. Inoltre, c'era da considerare che gli autori partecipavano a titolo gratuito e quindi non potevo chiedere loro una storia di troppe pagine, né mi piaceva l'idea di un'unica storia lunga disegnata a più mani. Dati tutti questi limiti, narrativi, produttivi e di opportunità, mi sono ritrovato con questo standard. Fra l'altro, colgo l'occasione per sottolineare una cosa cui tengo davvero molto: se Rusty Dogs ha una sua riconoscibilità, tanto dal punto di vista narrativo quanto grafico in senso lato, lo devo a due figure fondamentali come quella di Andrea Toscani, che mi fa da editor e mi aiuta sempre a capire al meglio come far emergere determinati aspetti cui tengo, e di Mauro Mura, che non si occupa solo del lettering di tutti gli episodi, ma che cura ogni aspetto relativo alla cura grafica della serie.
Esiste una sorta di filo rosso che lega tutti gli episodi di Rusty Dogs?
Sì, esiste. Tutte le storie sono leggibili individualmente, ma da subito ho avuto l'ambizione di intessere un legame tra di esse. Detto questo, però, mi fermo, perché se c'è una cosa che detesto è quando un autore si mette davanti al proprio lavoro e lo "impalla" provando a spiegarlo o a indicare in che modo debba essere letto.
Se questo filo rosso verrà fuori, vorrà dire che siamo stati bravi, se no saremo stati scarsi, oppure, legittimamente, qualcuno non avrà letto Rusty Dogs con l'attenzione dovuta. Ma questo fa parte del gioco: nel momento in cui offri al lettore un lavoro, poi devi prenderti quello che viene. Però non nascondo che mi piacerebbe che ci fosse qualche lettore che avesse il piacere e la curiosità di leggere gli episodi tutti assieme.
Nei vari episodi di Rusty Dogs ci hai presentato una lunga sequela di personaggi, di solito molto complessi e mai monodimensionali. C'è qualche personaggio di cui avresti voluto narrare di più, rendendolo magari protagonista di più storie?
Tutti i personaggi, non vuole essere in nessun modo una risposta ruffiana.
Quello che faccio quando scrivo Rusty Dogs è di sapere il meno possibile dei personaggi che racconto, perché per me è quella la strada migliore per poter dare al lettore la parvenza che ci sia più di quanto non si veda: è un'illusione, illusione che finora mi ha portato a dei risultati positivi.
Quindi, tutti i personaggi e nessuno, in questo senso. È altrettanto chiaro, naturalmente, che di certi personaggi-chiave conosco di più di quanto non sia finito nelle storie o di quanto conosca degli altri personaggi, però neanche in quei casi so tutto.
Qual è il capitolo di cui sei più fiero?
Senza nulla togliere agli altri che ho scritto e riallacciandomi alla domanda sul filo conduttore della serie, si tratta in realtà di due episodi che devono ancora uscire e che ho scritto per Giuseppe Palumbo e per Gianfranco Giardina: scriverli mi ha aiutato a far emergere quel tipo di filo rosso di cui parlavo prima. Hanno una loro leggibilità a sé stante, ma contemporaneamente portano avanti la trama orizzontale esattamente come volevo. In questi casi specifici, oltre al confronto con Andrea è stato fondamentale lo scambio che ho avuto proprio con Gianfranco, che non è solo uno dei disegnatori della serie, ma un vero e proprio co-scrittore per quanto riguarda le cose che facciamo insieme e - per ciò che concerne il resto - un padre confessore che ascolta pazientemente ogni mia paturnia e insicurezza, e che spessissimo riesce a darmi dei pareri fondamentali.
In ogni pagina di Rusty Dogs si respira quell'atmosfera tipicamente - volendo cedere alla cattiva abitudine delle etichette - noir. Ci sono degli autori che hanno particolarmente influito sulla tua formazione? Anche in virtù della tua professione, come ti sembra l'attuale panorama letterario relativamente a tale genere?
Parto dalla seconda parte della domanda. Gialli, thriller, noir, crime, polizieschi in senso lato sono ancora una delle categorie merceologiche librarie che hanno i risultati migliori in termini di vendite, basti guardare i primi 25-30 posti di qualsiasi classifica di vendita: almeno un terzo dei titoli presenti ha a che fare con quei generi. Se vogliamo, anche un certo tipo di attuale giornalismo e di saggistica hanno a che fare con questo tipo d'argomento: per fare un solo nome, Saviano si occupa di crimini, tanto in Gomorra quanto in Zero, zero, zero.
Ricollegandomi alla prima parte della domanda, invece, è stato Cormac McCarthy con Non è un paese per vecchi che ha cambiato il mio modo di leggere libri e anche il mio modo d'intendere ciò che volevo scrivere, oltre al modo di guardarmi attorno. Quello è stato il classico libro che ha funzionato da turning point, mi ha realmente cambiato lo sguardo interiore e quello verso l'esterno su ciò che leggo, guardo e ascolto, ma non solo: qualche anno fa ho anche deciso di creare in libreria un intero settore dedicato esclusivamente al noir e al crime anche grazie alla lettura di quel libro.
Quanto ai gusti in ambito fumettistico, poi, il primo nome che mi viene in mente è quello di Ed Brubaker, che per me ha saputo reinterpretare i codici espressivi del genere tra hard-boiled, noir e crime, in maniera esaltante. Criminal è un'opera straordinaria, ma anche alcune cose precedenti come Sleepers o successive come Incognito, Fatale, lo stesso suo ciclo di Capitan America, o Gotham Central fatto insieme a Greg Rucka, sono tutte opere in cui si ritrova un livello medio eccellente.
Ripeto, Criminal resta per me la sua opera migliore, ma non mi ha ispirato perché in italiano (ahimè, non conosco l'inglese) è uscito quando già avevo iniziato a scrivere Rusty Dogs. E devo dire per fortuna: guardando la preview del primo numero originale, mi ero spaventato perché pensavo di scrivere un fumetto non solo dello stesso genere, ma simile anche nel modo di declinare, di reinterpretare quei codici.
Proprio perché non volevo esserne influenzato, ho rimandato la lettura di Criminal per molto tempo dopo la sua uscita in italiano, ma poi non ho più resistito e, letto il primo, sono andato a cascata con tutti gli altri.
Ho amato tantissimo anche lo splendido Scalped di Jason Aaron. E tralascio tutti i grandi nomi a partire da Will Eisner o Frank Miller, dato che penso stiano alla base dei gusti di una larghissima fetta di lettori e autori di fumetti.
Ma il libro che prima di ogni altro ha indirizzato la mia passione di leggere ma anche di scrivere, è stato Storia di cani di Peppe Ferrandino e Giancarlo Caracuzzo, che uscì negli anni '90, prima a puntate sulla rivista Nero della Granata Press di Luigi Bernardi e poi in volume unico. In qualche modo la visione del noir che aveva Bernardi ha condizionato il mio gusto, e Storia di cani è stato un libro importante come Non è un paese per vecchi; sono le due colonne sulle quali si sono formati non solo i miei gusti, appunto, ma anche il mio modo di intendere ciò che sta attorno a ciò che leggo o guardo. Se la lettura, oggi come ieri e come spero domani, deve essere non soltanto un modo di evadere ma anche un modo per ri-leggere ciò che ci circonda, questi due libri sono le due lenti di quegli occhiali che mi hanno fatto leggere meglio, ascoltare meglio e selezionare meglio: per me, le letture che ti cambiano la vita devono servire soprattutto a questo. Se facessimo tutti realmente così, io per primo, molto probabilmente ci sarebbero in giro molte cose più belle e molte meno schifezze.
Molti autori stranieri e una sola indicazione italiana, che peraltro risale a oltre venti anni fa: c'è a tuo parere una particolare carenza nel panorama fumettistico nazionale di questo genere? Dovuta a cosa?
No no, non ho risposto così per questo motivo, tutt'altro. Domande simili spiazzano sempre e quando me le sento rivolgere rispondere su due piedi mi disorienta. A parte gli scherzi, i nomi che ho fatto prima sono sicuramente fondamentali per i motivi che ho spiegato, ma se dovessi allargare la prospettiva alle letture fondamentali che ho fatto e che possono stare alla base di un certo gusto, di un certo sguardo e un certo approccio alla scrittura, allora il ventaglio di autori e titoli non potrebbe davvero che allargarsi fino a comprendere - fra gli italiani - l' Igort di Sinatra e 5 è il numero perfetto, Gipi in particolare per Hanno ritrovato la macchina.
Tornando all'estero, sono stati fondamentali Carlos Sampayo e José Muñoz con Alack Sinner, Enrique Sánchez Abulí e Jordi Bernet con Torpedo, Carlos Trillo, Guillermo Saccomanno e Domingo Mandrafina con Spaghetti Bros, Brian Azzarello ed Eduardo Risso con 100 Bullets, David Lapham e il suo Stray Bullets (a proposito: nessun editore italiano che lo riproponga e costringa l'autore a terminarlo?), Baru e i suoi lavori, in particolare L'autoroute du soleil, gli EC Comics dedicati al crime, per non parlare di Jiro Taniguchi e molti suoi lavori. Potrei citare anche disegnatori che non si sono cimentati precisamente su queste atmosfere, ma che hanno comunque avuto una grande importanza: limitandomi a un solo, significativo nome, dico Alex Toth. Si tratta di un elenco lungo e comunque incompleto, lacunoso: mi sono limitato ai fumetti e non sto minimamente prendendo in considerazione libri, cinema, musica e fotografia per non tediare troppo chi leggerà.
Nel tempo hai collaborato con molti disegnatori, sia giovani promesse che veri e propri maestri. Tra le tante collaborazioni, c'è qualcuna che ricordi in maniera particolare?
Anche questa non vuole essere una risposta ruffiana, ma quella che ricordo in modo particolare è una collaborazione che non si è concretizzata, perché a suo modo dà un senso a tutte le altre. Quando ho iniziato a coinvolgere i disegnatori nel progetto Rusty Dogs, ho chiesto esplicitamente che, se avessero accettato, non avrebbero dovuto farlo per amicizia, visto che in molti casi esisteva già un rapporto di quel tipo tra me e gli autori, a volte amicizia stretta, altre buona conoscenza, altre ancora simpatia reciproca nata dal fatto che ognuno seguiva il blog dell'altro. Non ho contattato persone che non conoscessi almeno minimamente perché non volevo che si creasse alcun fraintendimento sulla questione retribuzione, visto che chiedevo di partecipare al progetto a titolo gratuito, non essendo un editore e non avendo capitali a disposizione. L'unica carta che potevo giocarmi era la bontà dell'idea e garantire ai disegnatori che si sarebbero divertiti a realizzare le storie.
Quando ho contattato Maurizio Di Vincenzo, mio carissimo amico, lui mi ha risposto di no. Maurizio mi ha dato una risposta onesta, dicendomi che l'idea gli piaceva ma che, in quel momento, non avrebbe potuto gestirla, non avendo tempo nemmeno per una storia di sole quattro tavole.
Ecco quel "no" io l'ho conservato come una cosa preziosa, non lo dico né con ironia né con ruffianeria: io a quel "no" ci sono molto affezionato, perché forse è stata la risposta più importante che sia stata data a Rusty Dogs. Nel senso che il progetto non è stato visto come semplicemente il giocattolo di uno sceneggiatore praticamente senza esperienza, com'era e come in parte continua a essere il sottoscritto, ma è stato invece inquadrato in una prospettiva professionale.
Poi ricordo in modo particolare tutti quelli che si sono proposti; come dicevo, all'inizio i disegnatori coinvolti dovevano essere una trentina, ma successivamente gli episodi, e di conseguenza autori, sono diventati cinquanta - e cinquanta resteranno perché confermo che con l'episodio 50 Rusty Dogs chiude - e il fatto stesso che in molti si siano proposti è stato molto gratificante.
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