Nello stormo

Creato il 24 dicembre 2014 da Giuseppe Martella @GiuseppeMartel1

La rabbia di Bernanos, in Luzi, è riuscita a diventare domanda. La ferita (le ferite della croce) sono diventate in Luzi un lungo momento di indagine. Dal ’63, anno in cui è uscita la prima edizione di Nel magma fino al 2005, anno della sua morte, Luzi non ha fatto altro che articolare le labbra di questa ferita, puntandoci l’occhio dentro e osservando la Natura, la Storia, l’Uomo, l’Alterità.

La ferita, nell’occhio di Luzi, è poi diventata una domanda; la rabbia si è precisata in una interrogazione. E maggiore era il silenzio di Dio, di una alterità profonda e insondabile, maggiore era la richiesta. Fino a quando è lo stesso Figlio dell’Uomo a ricostruire il Padre, a partorire il padre, dentro luoghi dimenticati, quando dice: Ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi / o avessi dimenticato di essere stato si legge nelle Meditazioni sulla via crucis, composta in forma di recitativo nel 1999. E in questa stessa porzione narrativa la vicinanza al mondo abitato dall’uomo rimane partecipata e ancora stupita: La vita sulla terra è dolorosa, / ma è anche gioiosa: mi sovvengono / i piccoli dell’uomo, / gli alberi e gli animali.

Questo stupore, impastato di paura, rimane al fondo della scrittura di Luzi fino agli anni estremi della sua vita. Un testo inedito fu pubblicato da “MicroMega – La primavera”, un rivista settimanale che uscì per alcune settimane, e che chiuse la prima pubblicazione, in data 2 marzo 2006, a un anno dalla morte di Luzi, con il titolo Nello stormo.

Lunghi passi nell’aria di una colomba? Di un falco alto levato? Delle ali si chiudono e il corpo si avvita, caldo nel suo sangue che inizia a stillare dopo una sparatoria. Lunghi passi forse di un pellicano, che si pensava lacerasse il suo petto per ridare vita ai cuccioli morti; morti dopo giorni dal suo allontanamento dal nido; o nati così esangui da sembrare già privi di vita. L’abluzione con il suo sangue ridava vita ai piccoli. San Melitone di Sardi (siamo nell’Asia Minore adesso, nel III sec. d. C.) usava questa immagine come simbolo della Passione. L’anonimo estensore del Physiologus, redatto ad Alessandria d’Egitto quasi dentro la stessa epoca di Melitone (tra il II e il III sec. d. C.), in un contesto gnostico, leggeva questa immagine appunto come figura di Cristo.


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