Questa la frase chiave di Nemesi, forse il libro di Philip Roth che mi è piaciuto maggiormente assieme a Indignazione.
Dopo diverse letture con soggetti più o meno analoghi, questa storia finalmente esce un po’ dal classico contesto delle famiglie di origine ebraica negli Stati Uniti.
In realtà anche qui sono presenti le stesse cose, ma ai fini della storia raccontata, che i protagonisti siano ebrei o di altre religioni o che il luogo di culto sia una sinagoga piuttosto che una chiesa cattolica importa poco.
Ciò che conta sono i sentimenti delle persone, la loro solidarietà, il loro senso del dovere e della giustizia e perchè no, la paura.
Un’epidemia di poliomielite nell’America della seconda guerra mondiale miete vittime tra i giovani ragazzi dei campi estivi.
Un fenomeno crudele che mette in crisi con il proprio Dio più di una persona e che instaura nell’animo di Bucky più di un dubbio.
Fa la cosa giusta si dice continuamente il giovane istruttore che pur tuttavia rimane sorpreso da alcune decisioni prese impulsivamente da lui stesso .
Un lungo conflitto interiore che, tra sensi di colpa e di ingiustizia, lo porta a darsi da fare per gli altri che sembrano più sfortunati di lui.
Un libro che esce nella sostanza dagli abituali canoni propri di Roth che per i miei gusti cominciava a sembrare ripetitivo.
Questa lettura mi ha riappacificato con l’autore e se leggendo altre sue opere mi capitasse di tornare su schemi già visti, beh sarei in grado di apprezzarle nuovamente anche grazie a questo bel diversivo.
Il realismo dei sentimenti del protagonista nei confronti dei ragazzi, della nonna, della fidanzata, per non parlare dei genitori dei ragazzi che si ammalano, fino ad arrivare anche allo sfortunato Horace, sono descritti in maniera da trasformare la semplice lettura in qualcosa di attivo che cementa il lettore alla storia.
Bello, crudo e coinvolgente.
Tempo di lettura: 4h 51m