Ieri sera all’ultima parola il blogger Mario Adinolfi, balzato alle cronache per essere passato dai rottamatori del PD ai rottamati della lista Monti, si è ancora una volta sperticato nell’apologia del modello tedesco. Per giustificare la validità del suddetto modello ha parlato del cuneo fiscale e della necessità di ridurre la quota gravante sui lavoratori.
Ricordiamo che il cuneo fiscale rappresenta la differenza tra l’onere del costo del lavoro e il reddito effettivo percepito dal lavoratore, ed effettivamente l’Italia con il 47,6% si piazza ai primi posti fra i paesi Europei in cui quest’onere è maggiore. Ok, Houston abbiamo un problema.
Guardando i dati con attenzione tuttavia si nota come proprio la Germania, cioè il paese citato a modello, abbia con il 49.8, dopo il Belgio, l’onere più alto tra i paesi Europei.
Come fanno allora i tedeschi a competere con un cuneo così alto e per di più secondo il disinformatore Adinolfi maggiormente sbilanciato in favore dei lavoratori?
Naturalmente le cose non stanno così; infatti la Germania ha si uno dei più alti cunei fiscali d’Europa, ma è totalmente sbilanciato a favore delle imprese e non dei lavoratori. In Germania infatti su 100 euro di retribuzione netta in busta, il lavoratore ne versa 66,3 quali trattenute, contro i 32,9 versati dalle imprese. In Italia invece i lavoratori ne versano 44,5 mentre le imprese 46,4. In altre parole anche da questo punto di vista salta agli occhi la strategia mercantilista tedesca basata sul contenimento dei consumi, grazie ad un abile politica di moderazione salariale.
Come al solito la locomotiva ha tirato nel verso sbagliato.
Qui sotto potete vedere come in Italia, Francia e Spagna gli oneri a carico delle aziende sono superiori rispetto alle trattenute dei lavoratori; al contrario i lavoratori tedeschi sostengono un onere più che doppio rispetto alle imprese e rispetto soprattutto ai colleghi inglesi.
Ciò che dovrebbe invece indignare maggiormente un osservatore attento e non in malafede è la presenza di un divario così ampio e variegato all’interno di paesi che si sono dotati di una moneta unica. Il problema non è di per se l’ampiezza del cuneo, bensì l’assenza di una sua armonizzazione fra i 17 paesi dell’unione monetaria. Queste divergenze sono la causa della crisi dell’Eurozona in quanto determinano, come più volte ricordato, squilibri nella bilancia dei pagamenti e non potendo svalutare la moneta, per riequilibrare questi squilibri, si cercherà sempre di svalutare il salario.
Al blogger pokerista, preferiamo l’economista Hans-Werner Sinn il quale almeno parla chiaro e ci dice che “il ritorno alla competività passa attraverso l’austerità e la moderazione salariale come fece la Germania con Agenda 2000 di Schroeder”.
Siamo in guerra si sa ed ai traditori preferiamo di gran lunga i nemici.
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