Non ricordo dove l’ho letto, però pensate quanto è vero. Non sceglieremmo mai per i nostri figli cibo scadente tantomeno dannoso, giusto? Allo stesso modo dovremmo mettere a loro disposizione risorse e oggetti di qualità e di buona fattura, a partire dalla proposta culturale fino a generi materiali come giocattoli e vestiti. La prima volta in cui ci ho pensato è stato dopo l’acquisto di una tastiera elettronica a tasti piccoli con cui pensavo di avvicinare mia figlia alla musica suonata che a conferma del prezzo irrisorio e della pessima fattura – suoni e funzionalità terrificanti malgrado la marca storica – è stata da lei utilizzata pochissimo e ogni volta in modo piuttosto improprio. Chiaro che prima di investire qualche migliaia di euro in uno strumento acustico come un pianoforte, per esempio, uno ci pensa due volte visti i tempi, voglio dire le cose di qualità talvolta sono proibitive, ma con un po’ di astuzia e di ingegno si riesce ad arginare il problema. Da allora cerco di valutare appieno ogni acquisto, non vi dico mia moglie che passa ore in rete per documentarsi su qualsiasi tipo di articolo si renda necessario prima di decidere quale comprare.
Una analoga accuratezza andrebbe esercitata anche in ambiti più complessi come la gestione familiare in rapporto ai mesi di vacanza dei bambini. Ma mai come in questo caso il benchmarking è superfluo. In una società basata praticamente solo sulla disponibilità dei nonni, nel momento in cui si è costretti a rinunciare al loro supporto si apre una voragine organizzativa. Le proposte alternative non mancano, ma la sostenibilità economica è a dir poco proibitiva. Ed è il nostro caso. Se piazzare nonni e nipoti in una casa in montagna per uno o due mesi prima delle ferie ufficiali di agosto era tutto sommato accessibile e di facile ammortamento, le iniziative settimanali per bambini nelle strutture private sono fuori portata e non convenienti, benché estremamente valide. La scelta così alla fine si riduce all’offerta pubblica e agli oratori, un servizio che è poco più di un parcheggio erogato in modalità discutibile su cui mi sono già espresso più volte.
Questo per dire che ci sforziamo di ottenere il meglio da tutto ma siamo disposti a chiudere un occhio sulla qualità del tempo che i bambini trascorrono quando sono in nostra assenza (poi c’è anche la questione di come passiamo il nostro tempo con loro, ma questo è un altro discorso). Insomma, da lunedì mia figlia è iscritta all’oratorio estivo della parrocchia nei pressi di casa mia, noi non siamo credenti né praticanti ma a malincuore abbiamo confermato la scelta delle ultime due estati per i costi irrisori (il personale è tutto volontario) e perché l’alternativa comunale sfrutta le strutture scolastiche che i bambini frequentano già tutto l’anno, non ci sembrava giusto costringerla ancora negli stessi ambienti in cui è rimasta tutto l’inverno. Una scelta un po’ ipocrita di cui farei a meno, ma non sapremmo come comportarci altrimenti, e come noi tante altre famiglie come a dire mal comune mezzo gaudio. Così, quando accompagno mia figlia in oratorio e la lascio in quel cortile, tra centinaia di coetanei in quel momento di anarchia totale che precede la chiusura dei cancelli e l’inizio delle attività, penso che non è giusto, che una società che trascura in questo modo suoi membri più vulnerabili e importanti non è poi così evoluta anche se cerchiamo di convincerci, quando li vediamo raggiungere gli amichetti mentre ci allontaniamo per recarci al lavoro, che per loro, per i bambini, un posto vale l’altro.