Nepal: il federalismo non và

Creato il 17 maggio 2012 da Cren

Eccoci qua, come previsto l’idea di dividere il Nepal in 11 province o stati sta scatenando il finimondo. Idea peggiore non poteva esserci, in un paese formato da 80 gruppi etnici-castali che parlano oltre 50 lingue. La genesi di questa idea è dei maoisti, già propugnata durante la guerra civile, di controllare e strumentalizzare le etnie più svantaggiate (Tharu, Tamang, Limbu) e, in un ottica di regioni indipendenti, avere potere in aree del paese. L’enfasi sulle divisioni etniche, sui gruppi svantaggiati è stata loro, dei donatori internazionali, dei proprugnatori degli “human right” sulla carta. Adesso è  appoggiata anche dagli altri due partiti più importanti  con la stessa logica, cioè da qualche parte governeremo.

Tutti gli altri, compreso il 73% della popolazione è contrario, si preferirebbe una organizzazione dello stato su basi geografiche e, comunque, unificata. (sondaggio Himalmedia 2012). Cioè quello che stanno richiedendo nel Nepal occidentale fra scioperi e scontri da tre settimane (la Undivided Far West campaigne è stata sospesa solo oggi). La gente è più saggia d’esperti e politici come spesso accade.  

Il buon senso parte da una considerazione statistica:  nell’ipotesi avanzata, tutte le regioni\stato avrebbero una maggioranza relativa etnica e ciò produrrebbe divisioni e tensioni all’interno delle stesse regioni. Se prendiamo l’ipotetico Tamsaling, lo stato dei Tamang, vediamo che solo il 56% sono Tamang, il 16% Newari e il resto sparsi fra tutti gli latri gruppi etnci. Nello stato dei Newari (Newa, che comprenderebbe Kathmandu) questi sono il 46,7; nel Magarat, i Magar sono il 41,3. I gruppi etnico-castali più importanti (Bahun, Chetri e Dalit) non avrebbero un proprio stato e sarebbero un importante minoranza (mediamente il 10%) in tutte le 11 regioni. Per questo bloccano Kathmandu da qualche giorno e chiedono che il riconoscimento di “Chhetris, Thakuris, Dashnamis and Brahmins (Bahuns) and other caste groups as Adivasi Janjatis (indigenous nationalities)and provide them all the facilities and reservations enjoyed by the latter group.

Ma anche il Madhesi People´s Rights Forum sta per lasciare il governo e iniziare scioperi contro la divisione del Terai, che loro volevano unico e da loro controllato. La Nepal Federation of Indigenous Nationalities (NFIN) protesta anch’essa per le minoranze (fra cui i musulmani) che si sentono discriminate. Quando si frammenta tutti vogliono qualcosa in più e tutti invidiano quanto ha ottenuto il vicino. La costruzione del nuovo stato permane complessa, un’opera incredibile più il paese si divide. Rimangono aperte tante questioni fondamentali come la divisione dei poteri fra Presidente e Primo Ministro, il rapporto fra stato e ipotetiche regioni, il loro nome, l’equilibrio con il potere giudiziario (da riformare), gli enti locali a livello di villaggio, etc.

Cose che passano sopra la testa della gente che, semplicemente, vorrebbe che il paese fosse amministrato da qualcuno in grado di farlo, senza tante chiacchiere sui diritti delle minoranze, il sistema elettorale finnico, la divisione dei poteri. Il sondaggio citato esprime questa posizione, le maggiori preoccupazioni rimangono nella crescita incontrollata dei prezzi (92%) e nella dilagante corruzione (64%) che toglie risorse allo sviluppo economico, cioè i problemi pratici delle persone schiacciate da poco lavoro e poche opportunità.

 Dobbiamo pensare che il Nepal, ha rimesso in circolo il sistema parlamentare solo nel 1990 e dopo 22 di questa esperienza (con oltre 30 governi e una rivoluzione) il risultato è un paese in continua ricostruzione e non governato. Prima,  il Re governava nominando parlamento e governo e tanti rimpiangono quei tempi. Quando nel 2005, Re Gyanendra prese pieni poteri tanti nepalesi festeggiarono. Oggi quando và nei suoi tour spirituali, file di persone lo venerano e chiedono una tika dalle sue mani. Può anche darsi che il trapianto in Nepal del sistema parlamentare ottocentesco occidentale non funzioni e che tanti esperti occidentali che hanno predicato i diritti delle minoranze, la protezione dei gruppi etnici svantaggiati, la creazione di istituzioni complesse e farraginose abbiano provocato più danni che benefici. Forse qui e altrove servirebbe qualcosa di nuovo.