La gente non può lavorare, muoversi, fare acquisti, la lbertà è limitata. Le merci iniziano a scarseggiare nella capitale e i militari scortano i convogli di vegetali e riso. Nelle strade di Kavre torna a scorrere il fiume di latte, gettato via dagli allevatori che non possono consegnarlo. Scene già viste e che, a intervalli regolari, segnano il paese dal 1996. La fine della guerra civile (nel 2006) non ha ancora riportato il Nepal sulla strada della ricostruzione sociale ed economica. Lo sciopero blocca tutto, sole due ore al giorno è consentito fare acquisti (18-20), tutte le attività sono ferme ed è difficile operare anche per il sistema sanitario. Le aree urbane (Kathmandu, Pokhara, Butwal, Nepalganj, etc.) sono quelle in cui sono state concentrate manifestazione e blocchi stradali.
E’ chiaro che più lo sciopero va avanti più aumentano i rischi di tensione e scontri. A Pokhara mazzettate a chi vuole lavorare, qualche negozio raso al suolo a Kathmandu, a Bhakthapur (città da sempre calda) scontri fra militanti maoisti e dell’UML così come a Dhankuta. Mentre nel Terai botte con quelli dei partiti Madhesi come a Danusha o con la polizia (a Butwal). Nella montagnosa e remota Humla, la gente s’è scocciata e ha preso a pietronate la sede dei maoisti. Questo è il grande rischio cioè la situazione degeneri e sfugga al controllo degli alti manovratori politici.
I maoisti vogliono tenere una porta aperta alla trattativa e cercano di controllare i loro militanti e di mantenere bassa la tensione ( libertà di circolazione per turisti, mezzi d’emergenza, apertura aereoporto, circolazione di medicinali, etc.). Ma questo scioperone serve anche a rinfrancare una base sempre meno disposta a rimanere fuori dal potere o a non fare la rivoluzione; quindi se i risultati (governo d’unità nazionale a guida maoista, leadership di Prachanda) non arriveranno bisognerà giocare al rialzo.
Contemporaneamente i maoisti vogliono cercare di apparire estranei (accusando gli altri partiti) al fallimento (già preannunciato in questo blog) dell’Assemblea Costituente che terminerà il suo mandato fra 20 giorni senza aver concluso un fico secco. L’unica soluzione per prorogare il termine è la loro entrata nel governo, qui c’è poco spazio di mediazione. Una storia (e una richiesta) che va avanti da mesi.
Questo sarà il nodo principale di tutta la questione: prorogare l’Assemblea senza l’appoggio di tutti i maggiori partiti permetterebbe a quelli restati fuori di gridare al colpo di stato, legittimando ogni protesta e contro-reazione (intervento militare). Qualcuno adombra una soluzione transitoria\tecnica ma non si capisce con chi. I 21 partiti che formano la coalizione non vogliono mollare, l’India appoggia il governo ma cerca di rimanerne fuori, le ambasciate hanno messo sotto il sistema di sicurezza (come durante il conflitto) i propri connazionali, i viaggi sono sconsigliati. Insomma, nessuno sa più cosa fare.
Di positivo c’è che lo sciopero, i blocchi del governo, le manifestazioni di massa sono state, fino ad ora, sostanzialmente pacifiche. Pensiamo che girano migliaia di persone, che un paese è imprigionato e che i militanti di tutti i partiti sono incazzati fra loro. Di negativo vi è la ripresa dei reclutamenti dell’esercito che indica che non s’intende assorbire gli ex-combattenti maoisti. Voci dai campi dicono che sono sempre più disperati e incazzati. Ipotesi: io rimango fiducioso nel gran fluire dell’Asia (e del Nepal) e credo in un governo d’unità nazionale che stenterà a risolvere i problemi ma, almeno, potrà stemperarli.
Intanto la gente s’arrangia, s’affolla nei bazar nelle ore consentite, ciondola per la città a piedi, osserva i militanti, sempre più rassegnata. I sondaggi (per quel che valgono) dicono che la maggioranza del paese vorrebbe un governo d’unità nazionale, il 70% una repubblica, il 52% riaffermare nella costituzione lo stato hindu; Pushpa Kamal Dahal (20.2%) and Baburam Bhattarai (14.7%) sono i leader politici più popolari. Tanti numeri ma la sensazione è che il Paese del Sorriso s’è ulteriormente ingrugnito.