Ciò che vediamo delle persone non è che una membrana, pensò. All’interno c’è un caleidoscopio di colori, a volte accesi e caldi, altre volte cupi, se non del tutto spenti e freddi. Nella sua cosmografia interiore questi fasci di luce si intrecciavano tra loro formando delle nervature a livello della membrana. E’ un irradiamento disomogeneo, ogni persona le può avere sviluppate maggiormente in punti diversi. E’ una questione di sensibilità, pensò. Lui sapeva benissimo dove cercare la propria sensibilità. Si accarezzò il petto, le dita sfioravano la peluria sopra lo sterno e gli donavano un senso di quiete profonda. Quelle dita non erano che l’aratro che preparava la terra alla semina. Il petto attendeva la testa di Lei da una settimana. Ancora pochi minuti e quelle dita della mano destra non avrebbero più brulicato sul petto, ma in quella selva di capelli. Avrebbe giurato, si ne era proprio sicuro, che in quel momento il petto si sarebbe aperto e tutti i fasci di luce del suo corpo sarebbero stati liberi di espandersi nell’aere.
E ora finalmente insinuava le dita tra i capelli come se sfiorasse fili d’erba per arrivare al terreno. Era un terreno caldo e friabile, le dita non incontravano resistenza. Ecco, ora poteva pizzicare le sue fasce di nervi colorati. Chiuse gli occhi e pensò che non poteva che essere così, un solo unico intreccio di colori. Riaprì gli occhi e guardò la stanza. Ovunque era arcobaleno.