È che così che Alessandro Bergonzoni inizia a ricercare i Nessi tra la vita e la morte, incastonando tra annessi e connessi i legami esistenti (e non) tra parole, modi di dire, proverbi, pure trovate d’ingegno. Tirando i fili di ciò che riguarda il vivere e il morire, i padri e i figli, i parenti e le generazioni, credenti e praticanti, volenti o nolenti, ciò che abbiamo e ciò che ci manca in punto di morte come in punta di vita, ne deriva un’ora e mezza che va giù tutta d’un fiato, che passa in un lampo, ipnotizzati e guardinghi sui funambolici passaggi tra un nesso e l’altro. Bergonzoni cammina sui suoi nessi come un acrobata esperto, che si esibisce sul filo del non-sense senza rete e senza imbracatura. Ancor più che nel precedente Urge, Bergonzoni è funambolo della parola, della semantica, del sentimento. Provare a ricordarsi una manciata delle sue battute è praticamente impossibile, un po’ come ricordare tutti gli eventi e i fili tesi dall’Ariosto nello smisurato Orlando Furioso. Stavolta è l’Alessandro Furioso, che stordisce dalle risate e dalla genialità. Ma oltre alla pancia, Bergonzoni colpisce anche la testa e il cuore. Lo fa in quei momenti in cui passa dal misunderstanding più giocoso e pindarico a stoccate di teatro d’impegno civile, sociale, citando con garbo Falcone e Borsellino. Ed è lì che la riflessione trova un robusto spiraglio nell’attenzione del pubblico. E allora si sfiora la standing ovation.
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