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Nessun candidato del centrosinistra parla di cultura, ma c’è un perché: gli italiani non la sanno gestire

Creato il 13 novembre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Quando emerge un problema, la tendenza più diffusa e comoda è non considerarlo, come facendo finta di non vederlo, per non rimettere in gioco le proprie convinzioni più consolidate. È, come ha scritto Pierluigi Sacco in un editoriale uscito il 2 settembre sul Sole 24 Ore, il caso della cultura, benché dall’estero e dall’Europa ci si aspetti il protagonismo dell’Italia. Sono gli italiani a sottovalutare la forza degli investimenti sulla cultura: lo scetticismo è tale che in un mondo dominato dai sondaggi e dalla conservazione stentorea dell’esistente gli stessi politici hanno paura di pronunciare parole che spaventano gli elettori; e la cultura dev’essere precipitata in una black list infernale. Così i cinque candidati premier del centrosinistra ieri nel confronto su Skytg24 hanno evitato di parlare di un tabù che pare evocare una batosta elettorale memorabile.
Un altro articolo del Sole 24 Ore ci spiega però che il fatturato delle attività culturali non incontra come dovrebbe quello delle attività creative. C’è da preoccuparsi. Ma che succede? E dire che lo studio di Jan Figel del 2006, dedicato alle politiche culturali europee, dimostra che la cultura mostra una notevole capacità di tenuta occupazionale anche in tempi di forte crisi economica.
Dunque le attività che garantiscono posti di lavoro solidi disgustano il popolo italiano?
La cultura sulla torre d’avorio, nella sua purezza, lontana dalle attività creative, e i laureati che devono accettare posti di lavoro degradanti come dice la Fornero? Manca solo che questa tizia bruci le biblioteche e ci proponga di camminare a quattro zampe.
Pierluigi Sacco riprende la sua lodevole battaglia giusto il 12 novembre. Fra i tanti spunti del suo nuovo editoriale appare la differenza sconvolgente tra la propensione all’esportazione delle attività culturali, legate al suolo patrio, rispetto ai globe-trotter creativi.
È un autogol clamoroso, qui si gioca a perdere. Non si legano insieme, non dialogano passato e futuro, patrimonio e investimento, la creatività parla le lingue straniere e la cultura è “dialettale”. L’una sa farsi internazionale, l’altra resta prigioniera nel retrobottega. Stranissimo. La stessa Monna Lisa è un simbolo mondiale, ripresentato in mille variazioni e metamorfosi di cui gli italiani probabilmente non sono neppure al corrente.

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