Sotto le strade di Londra c’è un mondo che la maggior parte delle persone non si sognerebbero mai di immaginare. Una città di mostri e di santi, assassini e di angeli, in cui i topi parlano e pallide ragazze indossano velluto nero. Richard Mayhew è un giovane come tutti gli altri, trasferitosi nella Capitale dalla provincia scozzese e la cui unica eccentricità è collezionare piccoli troll di plastica dai capelli fluorescenti. Ha una vita normale, un lavoro rassicurantemente noioso, una fidanzata bella, ricca e dispotica la cui missione nella vita è fare di lui l’uomo adatto a lei, quindi sposabile.
Ogni volta che prendo in mano questo libro – che sia per leggerlo, rileggerlo o semplicemente spolveralo – mi viene da ripensare ad un’assolata mattina del Maggio 2003 quando sono capitata in Sala Borsa per un caffè ed un saluto al mio amico Marco. Lo faccio ogni volta che posso quando torno a Bologna, anche se non abbastanza di frequente come meriterebbe – visto che è uno dei (pochi) grandi amici che mi porto appresso dal tempo dell’Università. Ma lui non era alla sua sua scrivania alla biblioteca ragazzi, o al prestito, bensì su un palco nella Piazza Coperta dove era in corso una conferenza e dove, con un microfono in mano, il mio sorprendente amico si muoveva con la scioltezza di un veterano presentatore, traducendo dall’italiano all’inglese (e viceversa) la girandola di domande e risposte che passava tra il pubblico e l’ospite (uh!) anglosassone. Ospite anglosassone che, a giudicare dalla marea di grandi e piccini presenti, doveva essere anche molto popolare.
Così non mi feci presentare Neil Gaiman, ma promisi a Marco che avrei letto qualcosa. “Nessun Dove”, fu il pronto consiglio. E visto che Marco non è solo un bibliotecario molto competente, ma è soprattutto un lettore appassionato – il genere che sa cosa può piacere alla gente ancor prima che la gente stessa lo sappia – ho dovutamente preso nota del titolo e l’ho aggiunto alla mia lunghissima lista dei libri da leggere. Quando alla fine ci sono arrivata a leggerlo Neverwhere, era il 2004, essendo prima incappata per puro caso in un altro libro che lo stesso Neil Gaiman (che ora che sapevo chi era notavo il nome) aveva scritto a quattro mani con Terry Pratchett, dal titolo The Good Omen (in italiano tradotto con Buona Apocalisse a Tutti) regalatomi da uno dei miei studenti inglesi e che divorai con gusto pur capendo metà dei riferimenti riferimenti culturali (perché tanto odio per Milton Keynes, mi chiedevo… prima di vedere Milton Keynes…). E se il fantasy continua a non essere uno dei miei generi preferiti, mi ritrovo periodicamente a rileggere sia The Good Omen che Neverwhere che certi libri sono come certi vini: diventano migliori con l’età. O, nel mio caso, con l’allungarsi della mia permanenza nella Capitale e l’apprendimento della lingua, il che è la stessa cosa… ;)
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