Come rompere la gabbia dell’UE e costruire nelle lotte un’ALBA euro-afro mediterranea
A seguito delle elezioni europee pubblichiamo un estratto di un’intervista a Luciano Vasapollo, precedente le elezioni, incentrata sull’UE e sulle politiche europee che meglio ci può far comprendere gli attuali risultati, pur non condividendone tutte le proposte. In particolare, riteniamo che persista l’inspiegabile avversione della sinistra verso il principio della sovranità nazionale democratica e che la proposta di Vasapollo rischi di essere nient’altro che un elenco di “buone intenzioni” proprio per evitare di affrontare quel nodo cruciale. Buona lettura.
La Redazione
Partiamo con le elezioni europee. La campagna elettorale è iniziata da mesi, anzi, sembra che non si sia mai interrotta in tutti questi anni. Quali “idee” di Europa sono state presentate in queste elezioni, ammesso che vi siano delle idee differenti?
Penso che queste elezioni diano la concreta rappresentazione né più né meno di quello che già tanti anni fa si identificava come “pensiero unico”; non vedo una forte distinzione fra i programmi dei partiti di centrodestra e di centrosinistra, tanto in Italia quanto a livello europeo. Mi sembra che sostanzialmente si riproponga a livello elettorale il consolidamento della strategia di rendere sempre più subalterne le classi lavoratrici, intese in senso ampio: dagli immigrati, ai precari, ai disoccupati, fino all’ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro stabile, che continua a vedere contrazione di diritti e salari che sempre più hanno perso la loro capacità di acquisto. È chiaro come vi sia una politica egemone che impone le scelte sociali e le direttive della Troika, della BCE, del FMI e della Commissione Europea. Elezioni, quindi, semplicemente funzionali a dare consenso all’Europa dei poteri forti, all’Europa della borghesia transnazionale, all’Europa delle banche, all’Europa della Troika. Sia a destra che a sinistra il dibattito è da tempo concentrato unicamente sull’eventualità di continuare con le politiche restrittive monetariste di austerità o riformare l’Europa su improbabili nuove politiche keynesiane (il che ovviamente è un’idiozia, in quanto gli economisti ben sanno che in una fase di crisi sistemica del capitale ciò non sia possibile, non essendoci in questa crisi spazio per politiche di un riformismo che possa praticare una qualsiasi forma di concreta redistribuzione dei redditi a favore dei lavoratori). Gli schieramenti politico-istituzionali rappresentano o vogliono dare rappresentanza alla coercizione, alla subalternità del mondo del lavoro a queste politiche: nel Parlamento Europeo non c’è un partito, un tentativo di rappresentanza istituzionale che dia voce alle istanze dei movimenti sociali, del sindacato conflittuale, di chi vuole costruire una società fuori dai diktat della borghesia trans-nazionale europea. Quando ci si presenta con ipotesi alternative si accetta di essere funzionali e poi sottomessi all’imbroglio attraverso l’imbroglio di in un doppio tranello: uno è il populismo fascista (è il caso Le Pen in Francia, che vola cavalcando l’attacco all’Unione Europea per riproporre un nazionalismo razzista, riprendendo i contenuti più beceri e infami dell’ideologia fascista), l’altro è il populismo “alla grillini”, stupido e qualunquista, che cerca di raccattare voti da destra e da sinistra con critiche idiote del tipo “la politica fa tutta schifo”, “i partiti sono tutti uguali” o ovvie banalità nei risultati delle politiche economiche, confermate dalle statistiche di Istat o Eurostat, come “l’Europa provoca disoccupazione”. Oltre ciò non c’è una proposta vera di alternativa. Serve qualcosa di diverso, servono proposte radicali a forte impronta anticapitalista, non tanto contro l’Europa, ma contro l’europeismo imperialista. Va posta subito la questione dell’uscita dall’Euro, la rottura dell’Unione Europea e, in generale, rafforzare i percorsi di lotta per la fuoriuscita immediata da ogni logica di connivenza con la UE. [...]
Penso che oggi il concetto di classe non sia più ampio di quello precedente, è quello di sempre; il proletariato quantitativamente non è diminuito nel mondo, ma si è diversificato. Oggi nella classe che vive del proprio lavoro vanno inseriti i precari, i disoccupati ufficiali e non, gli operai, i contadini, tutti i soggetti del non lavoro e del lavoro a pieni diritti negati, ma anche l’impiegato, gli artigiani, il micro-imprenditore lavoratore autonomo di ultima generazione, cioè tutto quell’ex ceto medio che oggi ha una capacità di acquisto fortemente ridimensionata con scarsi diritti e prospettive di nuove povertà. Quello che era un ceto medio forse non privilegiato, ma comunque con prospettive di un vivere tranquillo fino a 10-15 anni fa, vive oggi condizioni di povertà relativa, spesso di disperazione sociale. Prendiamo il caso di un impiegato pubblico che ha uno stipendio di 1200-1300€ al mese e, in una città come Roma, ne paga 800-900€ di affitto. Mettiamo che una famiglia si collochi anche a 2000-2500€ di reddito mensile con un nucleo di 3/4 persone, in affitto o con mutuo trentennale. Anche se lavorassero entrambi i coniugi a tempo pieno, a pieni diritti e a pieno salario (il che è sempre più raro), la famiglia non ce la farebbe ad arrivare a coprire le spese neppure di metà mese. Aggiungiamo il fatto che oggi si vive di precarietà con salari di 600-700€ o anche 300-400€. Cosa possiamo dire di un impiegato pubblico se non che ha perso il suo status di appartenente alla classe media, rientrando tra le nuove povertà? Il problema è nell’espressione di classe, che sta nei bisogni primari, in un’accezione che va oltre ciò che si reputava 30/40 anni fa sui beni di prima necessità. Oggi una società come la nostra, con l’immenso sviluppo sociale delle forze produttive che si è avuto negli ultimi 30 anni che crea e induce nuovi bisogni primari in un largo e attuale sentire, che non sono solo quelli di un lavoro qualsiasi ma di un lavoro a pieno salario e pieni diritti, a un universalistico stato sociale allargato ai bisogni che questa società oggi ti crea, fino ai bisogni del tempo liberato, come i bisogni relativi ai saperi che sono primari e collettivi e vanno garantiti tutti e gratuitamente. Quando una persona non riesce a soddisfare i propri bisogni alimentari, primari e nuovi primari, come può essere chiamato se non proletario, dal momento che non possiede la proprietà dei mezzi di produzione? In questo senso marxiano io credo che a livello internazionale il proletariato stia aumentando, checché ne dica qualche idiota della Sinistra eurocentrica. Se per “classe operaia” intendiamo chi vive del proprio lavoro, del lavoro negato e del non lavoro, ci rendiamo conto che è classe e non cittadini, ed è classe molto più grande, più diversificata nelle sue componenti, ma più ampia e più stratificata di prima.
Attualmente, buona parte delle opposizioni al modello europeo targato Merkel concentrano il loro dibattito esclusivamente in funzione anti-euro. Stiamo parlando di una posizione che sembra aver entusiasmato tanto la destra quanto una certa parte di sinistra. Sappiamo, però, che una moneta, presa in senso assoluto, non è nient’altro che uno strumento attraverso il quale un determinato potere politico e istituzionale (Unione Europea) attua determinate scelte economiche. In questo dibattito si sente ancora la mancanza di un discorso basato sulle classi, sulla loro composizione, sul loro rapporto con le istituzioni, sulla distribuzione della ricchezza e sul rapporto tra lavoro, reddito e bisogni materiali. Quanto pensa influirà questo vuoto e quale crede debba essere il ruolo delle Sinistre in questo senso?
Quindi, crede che la Lista Tsipras in Italia sarà un fallimento?
A livello elettorale non lo so, sicuramente la proposta della Lista Tsipras non attirerà quel numero di voti che rappresentano la voglia e la necessità concreta del cambiamento nella prospettiva antimperialista e anticapitalista anche per un semplice approccio socialista di matrice riformista; ma addirittura sono convinto che tale lista non intercetterà neppure il disgusto, prima che il dissenso, verso le politiche di austerità e della Troika. [...]
Cambiamo argomento, o meglio riprendiamo le proposte di lotta per un programma di fase. Lei dal 1995 si occupa di “reddito sociale”. Nell’ultimo anno in particolare se n’è molto sentito parlare in quanto è stato uno dei cavalli di battaglia del M5S. Eppure dopo la bocciatura della mozione al senato lo scorso 26 giugno, il dibattito nazionale, almeno non negli ambienti di movimento, sta scemando. Crede che i grillini abbiano rinunciato definitivamente a un punto che è stato fra gli elementi caratterizzanti la loro scorsa campagna elettorale?
Capisco la tua provocazione: ovviamente non è possibile un confronto fra un una regione e una nazione e poi in contesti politici, sociali, culturali tanto diversi, però capisco che poni la questione in termini provocatori come relazione Sud a Sud. Sono profondamente convinto di quella che è una delle grandi prerogative della rivoluzione bolivariana e chavista è di aver individuato i suoi precursori in grandi rivoluzionari dell’Ottocento come Bolivar, Josè Martì e la sua idea di “Nuestra America”, o come José Carlos Mariátegui, fondatore del Partito Comunista del Perù, che ha cercato di combinare la questione di classe con la questione indigena, fino ad arrivare all’idea della “Maiuscola America” di Che Guevara, e via dicendo. Tutti i citati hanno posto al centro non solo la questione dell’indipendenza e dell’integrazione dell’America Latina, ma di quella che era appunto l’unità solidale della Tricontinental. Penso che oggi si può dare una lettura delle condizioni internazionali nello scontro Nord-Sud e nello scontro imperialismo e paesi neo-colonizzati sottoposti alle regole dell’imperialismo. La questione meridionale gramsciana ritorna in tutta la sua profondità in una dimensione che va al di là dell’Italia, ma che comprende la dimensione, la particolarità, le differenze, i percorsi, le culture diverse dei vari Sud del Mondo, che però poi sono uniti dallo stesso modo di produzione capitalistico, questo modello di sfruttamento imperiale e di colonizzazione. [...] Il problema non è ideologico, ma di governo e presa del potere, è un problema di classe, di governo del popolo. Prima della rivoluzione, in Venezuela le grandi risorse petrolifere facevano sì che si arricchissero sempre di più le multinazionali (l’80-85% dei profitti usciva dal Paese): uno dei Paesi più ricchi di petrolio nel Mondo faceva vivere la maggioranza della popolazione in una condizione di povertà assoluta, con un analfabetismo tra i più alti dell’America Latina. Con la rivoluzione chavista le rendite di quel petrolio invece di andare alle multinazionali rimangono per l’80% al paese e vengono utilizzate in investimenti sociali: lavoro per tutti, case, fognature, energia, grazie anche al grande aiuto di cooperazione, solidarietà e complementarità da parte di Cuba. Medici e insegnanti cubani arrivano in Venezuela, con la conseguente battaglia contro l’analfabetismo, una sanità pubblica gratuita. Chavez realizza sempre più profonde riforme strutturali e a carattere rivoluzionario, partendo da riforme strutturali di sistema sempre più incisive, nuove nazionalizzazioni non solo delle industrie del petrolio, le Missioni, l’università bolivariana. Qualcuno aveva tentato di dire che queste misure erano riconducibili a un capitalismo sociale, semplicemente redistribuivo; Chávez ha dimostrato nel tempo di connotare questa rivoluzione in termini di socialismo da lui chiamato “Socialismo del XXI secolo” o per il XXI secolo. Si tratta in ogni caso di un processo nuovo di trasformazione socialista, che si esplicita e concretizza nell’ALBA con altri paesi a modello antimperialista e anticapitalista, diversi ma tutti socialisti e tutti fortemente orientati a uno sviluppo autodeterminato per l’integrazione solidale di Nuestra America. La Rivoluzione martiana e poi marxista cubana, la rivoluzione bolivariana e socialista chavista, il socialismo comunitario boliviano disegnano un nuovo percorso, una nuova transizione al Socialismo. Ciò dimostra che il problema, a proposito di Basilicata, come a proposito di ogni Sud del Mondo e di ogni sfruttato, non è la semplice redistribuzione ma l’organizzazione di classe e politica per la presa del potere, il problema è la trasformazione rivoluzionaria in termini di classe.[...]
Parlavamo prima di ALBA e Mediterraneo: che il mar Mediterraneo sia diventato sempre di più un lago, in cui le sponde si “guardano” e si “parlano” in continuazione, è un fatto ormai secolare. Crede che sia possibile immaginare diversi rapporti tra i paesi che compongono l’Europa senza fare i conti con le rive settentrionali dell’Africa?
Assolutamente no. Mi guida sempre l’impostazione del metodo e della lettura dei fatti, dei processi e degli eventi storici in chiave marxiana. Non abbiamo mai parlato di ALBA mediterranea chiusa ai paesi cosiddetti PIIGS quando abbiamo avanzato la proposta dell’Alias, la moneta mediterranea di conto virtuale che supponiamo simile al Sucre dell’ALBA latino-americana. Abbiamo sempre parlato di un sistema che ponga innanzitutto una condizione non spaziale (il problema non è della Spagna o dell’Italia), ma una condizione di classe, di persone, lavoratori che hanno gli stessi bisogni.[...] Ma aggiungo di più: noi parliamo di un Mediterraneo in senso allargato, quindi di un’alleanza economica e politica di solidarietà. Non si può non considerare come area politico-socio-economica mediterranea anche quella includente i paesi dell’Europa dell’Est, dove sono avvenute le delocalizzazioni produttive con condizioni di lavoro di semi-schiavitù. Tutti i processi di delocalizzazione internazionale produttiva che dall’Europa centrale hanno trasferito il modello e la produzione fordista in Europa dell’Est alla ricerca di forza lavoro a più basso costo, ma meno normata e meno sindacalizzata, sono complementari a un nuovo modello di sviluppo, a una nuova divisione internazionale del lavoro; bisogna racchiudere in sé quest’area mediterranea allargata aprendo percorsi comuni di lotta anche con quei settori del mondo del lavoro precarizzato in mille forme, in Francia come in Germania e altri paesi nord europei. [...] Mi piace l’idea del Mediterraneo come grande lago: dobbiamo, tuttavia trasformare, la realtà di un lago di morte in una idea concreta di lago di vita. Attualmente il Mediterraneo è un “Mare Morto” a causa delle immigrazioni di forza lavoro, di schiavi trasportati dai negrieri scafisti, funzionali alle regole ferree e barbare del mercato del lavoro e della sua divisione internazionale. È così che provocano morte fisica e morte sociale; da un lato ci sono coloro che non ce la fanno ad arrivare sull’altra sponda del Mediterraneo, che muoiono di stenti nella traversata della brutale speranza, dall’altra c’è la morte sociale, con una forza lavoro che viene o imprigionata in centri di sterminio preventivo, luoghi disumani di detenzione speciale (cambiano in continuazione il nome, io li chiamo per quello che sono). Bisogna considerare che la maggior parte di questi immigrati diventa forza lavoro a nero, sfruttata senza sindacalizzazione, con un alto livello di rischio anche di morte, con salari bassissimi, diritti inesistenti e, per di più, finisce indirettamente per aumentare il livello del ricatto ai danni della forza lavoro italiana, dal momento che, con una manodopera a più basso prezzo, si abbatte il costo generale del lavoro. [...] Diventa un mare di vita se si apre una prospettiva davvero rivoluzionaria, se si riesce a reimmettere nei popoli, nelle classi del lavoro, in tutti coloro che rappresentano la speranza dell’umanità, la forza per un cambiamento radicale con le lotte per costruire un’ALBA euro-afro mediterranea, per il superamento del modello di produzione capitalista. È per questi motivi che siamo convinti che queste elezioni europee non cambino nella materia più assoluta le drammatiche condizioni dei lavoratori, dei migranti e dei disoccupati. Questo ci convince sempre più ad affermare che bisogna rompere la gabbia e uscire dall’UE. Questo è il vero significato della nostra posizione tutta politica dell’astensione, del non voto a queste elezioni europee.
Qui sotto l’intervista integrale:
Fonte: Unchainedonline