“Taliò il titolo: L'agente segreto di Conrad. Ricordava che gli er apiaciuto, ma non gli tornava a mente nient'altro. Spesso gli succedeva che a leggere le prime righe, o la conclusione, di un romanzo la sua memoria rapriva un piccolo scomparto dal quale niscivano fora personaggi, situazioni, frasi. «Uscendo di mattina, il signor Verloc lasciava nominalmente la bottega alle cure del cognato». Principiava accussì e quelle parole non gli dissero niente. «Ed egli camminava, insospettabile e mortale, come una peste nella strada affollata». Erano le ultime parole e gli dissero troppo.
E gli tornò in mente una frase di quel libro: «Nessuna pietà per nessuna cosa, nemmeno per sé stessi, e la morte finalmente messa a servizio del genere umano ..».
Rimise di prescia il libro al suo posto. No, la mano non aveva agito indipendentemente dal suo pinsero, era stata, certo inconsciamente, guidata da lui stesso, da quello che aveva dintra. S'assittò in poltrona, addrumò la televisione. La prima immagine che vide fu quella dei prigionieri di un campo di concentramento, non dei tempi di Hitler, ma di oggi.
In qualche parte del mondo che non si capiva, perché le facce di tutti quelli che patiscono l'orrore sono eguali. Astutò.
Niscì nella verandina, restò a taliare il mare, cercando di respirare con lo stesso ritmo della risacca”.
La gita a Tindari, Andrea Camilleri – Sellerio editore.