nessuno compra più lo zucchero sfuso, perché dovremmo farlo noi

Creato il 01 dicembre 2012 da Plus1gmt

Non è ben chiaro che cosa si veda dal mattino, fatto sta che questo ha il cielo color carta da zucchero che si riversa su tutto il resto. Non lo zucchero, perché così sarebbe troppo facile dare un valore alla giornata, una sorta di ph tendente all’acido o al basico, dolce o salato, o appunto la presenza di più o meno additivi che consentirebbero di annoverarlo tra quelli che poi ti ricordi anche a distanza di settimane o quelli che ci passi sopra. In realtà è questo non-colore che riveste tutto che è poi l’anomalia dell’alba, ci sono uomini e donne appena svegli che scostano la tenda e segnalano la cosa a chi di competenza, solitamente famigliari sufficientemente sensibili in grado di apprezzare l’evento naturale o almeno di stupirsi. Vieni a vedere che colore strano, si sente dire da qualche parte. E da quella parte un ragazzino che lascia per qualche istante la colazione, tanto il latte è bollente, e si porta ai vetri per vedere i palazzi fuori e quei pochi alberi e tutto il resto che sì, in effetti è di quel colore che gli è stato anticipato. Ma non dice che ne avrebbe preferito uno più deciso, le sfumature che non sono né carne né pesce non servono se si ha l’entusiasmo acceso.

Non resta che farne un accenno in macchina, quando poi le tonalità fuori si sono uniformate al resto delle settimana, mentre il caso si è manifestato nei panni di qualcuno che andava da qualche parte sulla nostra direzione e così il nostro buon cuore che mai si sopisce – e mi viene da dire per fortuna, ma per motivi squisitamente biologici – e così l’abbiamo tirato su, su suggerimento di conoscenze comuni di quelle che mettono sempre il naso nelle cose degli altri e fanno di tutto per incrociare i destini anche se non ne avrebbero l’autorità tanto meno le competenze. E per fortuna che c’è quello, il fenomeno naturale di cui si è stati testimoni come argomento per rompere il ghiaccio, ma tutto dipende dal grado di sensibilità altrui nonché dallo spirito di osservazione. Poi però accade che in coda a un semaforo il chiacchiericcio superficiale da abitacolo viene distratto da un tizio che è sdraiato per terra a pancia in giù, con il braccio teso in un’inclinazione innaturale. Avrete intuito qual è il lato cinico di tutto ciò. Che siamo talmente abituati a persone che sembrano sapere quel che vogliono e agli esagitati della tv che poi non riusciamo a discernere uno spettacolo di strada da un uomo che soffre, che sta male, che prima era in bicicletta e poi qualcuno che ha pensato che superare la coda al semaforo superando tutti con l’automobile passando sul marciapiede, che poi è lo stesso luogo dove si sente in diritto di parcheggiare impunemente, lo ha buttato giù senza tanti complimenti. E noi che lo scambiamo per un normale caso di follia urbana, qualcuno a cui è caduto qualcosa e lo sta raccogliendo e nel mentre decide di provare qualche nuova tecnica di ballo di strada. Ma ci arriviamo dopo a capire le cose gravi quando accadono, perché non c’è il tempo per fermarsi che ti suonano quelli dietro e bisogna affrettarsi. Forse quell’uomo aveva davvero bisogno di aiuto, ma nessuno poi lo dice.

E un po’ è un peccato, non sfruttare quegli interstizi di esistenza appieno solo perché si trascorrono con persone a cui mai avresti pensato di dover dare uno strappo con l’auto e rimanere in quell’intimità che sono i sedili davanti, seduti nella stessa posizione a guardarsi con la coda dell’occhio.  Chissà come reagiscono gli altri quando sono indotti a far parte dell’intimo di individui di cui non sono familiari, che detta così può sembrare una constatazione ambigua su cui è meglio soprassedere. Così non sarebbe grave parlare di sé, condividere preoccupazioni come quella che quando saremo vecchi non avremo più la lucidità per vederci come siamo realmente secondo quanto ci siamo immaginati quando eravamo giovani, non so se mi spiego (è sempre bene porsi questo dubbio soprattutto con chi non si conosce a fondo). Quando sarà troppo tardi per tornare indietro e dare un’occhiata al futuro che c’è già stato. Perché magari saremo tutti divorati da una forma di demenza senile e ci esprimeremo solo a parodie di canzoni, avete presente vero il gioco di cantare strofe e ritornelli cambiando le parole pur mantenendo le rime inalterate. Tutte cose che alla fine uno dice tra sé, perché anche se per una volta si va dalla stessa parte non è detto che si voglia dare un’impressione così profonda a chi, magari, poi non ci capiterà più di rivolgere la parola. Così finisce che anche quello è solo un altro giorno di quelli che ci passi sopra e non hai colto un’opportunità. Perché si scopre che  il colore strano c’è anche dopo che il sole è tramontato. E si sa che d’inverno se ne va presto, mentre pensi a come è cominciato quando hai visto il cielo carta da zucchero, a chi hai corso il rischio di aprire i tuoi dubbi, e solo con la scusa che sopra c’è tutta una coltre di nuvole e poi una infinita luce accesa.



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