Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca (Movieplayer)
Né può aiutare un confronto con i familiari, anzi, entrambi si trascinano al riguardo trascorsi esistenziali non certo edificanti. Delia persa in un continuo paragone con la figura materna, separata dal marito che poi morirà per un infarto, l’anoressia sempre in agguato quale unica “arma” per il controllo del proprio corpo, ed essere padrona delle proprie sensazioni; Gaetano sembra invece aver costruito il rapporto coi genitori, svagati reduci sessantottini, sulla base di un reciproco conflitto, in particolare con il padre, il quale non ha certo avallato il suo sogno di divenire scrittore, giudicandolo niente di meno che un fallito. Continua il fluire della memoria, la nascita di un secondo bambino, i tradimenti, un aborto, la rabbia della madre sfogata su uno dei figli con un gesto inconsulto … Se ora sono così rancorosi, verso se stessi e il mondo intero, chissà col passare degli anni … Forse potrebbero diventare come la coppia, più avanti d’età, a fianco del loro tavolo, qualche battibecco, molti sorrisi ed una concreta sintonia, in fondo “nessuno si salva da solo”… Quinta regia di Sergio Castellitto (l’esordio risale al ’99, Libero burro), Nessuno si salva da solo (terzo film adattato da un romanzo della moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini, qui anche sceneggiatrice, dopo Non ti muovere, 2004, e Venuto al mondo, 2012) rappresenta la conferma, probabilmente definitiva, di uno stile piuttosto attento alla forma e alla sintassi cinematografica.
J.Trinca (Movieplayer)
Quanto scritto è reso evidente da una cura insistita tanto nei confronti dei primi piani quanto di ogni particolare, volta a dare un’impronta nettamente realista, unita all’accondiscendenza verso un fluire naturale della narrazione, anche quando si snoda attraverso piani temporali diversi, vedi il felice intarsio dei flashback in un impianto scenico dall’impatto teatrale (qui gioca un ruolo rilevante il montaggio di Chiara Vullo).
Evidente anche la volontà di mantenersi distante dalla facile affettazione, pur al prezzo di sacrificare la resa empatica, oltre a quella di conferire un’estrema, tangibile, corporeità alle vicende che si andranno a delineare, sfruttando le linee proprie del melodramma nel visualizzare il fallimento di una relazione così come di più generazioni incapaci di concretizzare i propri aneliti più reconditi e conferirgli opportuna valenza. Il tutto all’interno di una società alla ricerca, nei suoi continui e veloci mutamenti, di una definitiva dimensione, umana in primo luogo. Avendo letto e apprezzato il suddetto libro, la primaria sensazione è che in fase di trasposizione si sia optato per la scelta di non scremare alcunché, per cui Castellitto, assecondando, ha dato vita ai consueti picchi d’accumulo, espressione forse non molto felice, chiedo venia, ma credo renda bene l’idea del susseguirsi pedante di “scene madri” e dialoghi culminanti in frasi stentoree dal sapore improbabile, urlate “a tutto schermo”. L’assunto è quello di spiegare attraverso un intercalare di sequenze le varie vicende, per di più contornate da una musica spesso stridente.
R. Scamarcio (Movieplayer)
Le pur valide interpretazioni dei due protagonisti (in particolare il Gaetano di Scamarcio, naturalmente volto ad un particolare impasto di tamarraggine e sensibilità, per quanto a volte perso nel ruolo di artista maudit, mentre Trinca, ad avviso di chi scrive, ha dato vita a prove migliori, forse più sentite, non solo fisicamente) finiscono così con il passare in secondo piano rispetto ad un preminente intento didascalico.
Mi ha colpito piacevolmente, invece, il finale, dove tutto diviene più arioso, agile, meno sentenzioso: le tensioni infatti si allentano quando Castellitto offre la scena alla coppia “anziana” (Roberto Vecchioni e Angela Molina) e riguardo l’incontro di quest’ultima con i due giovani sembra visualizzarsi una proiezione onirica di ciò che Gaetano e Delia potrebbero ancora essere in tempo a divenire, riflettendo tanto su ciò che li ha uniti quanto su quello che li ha allontanati l’uno dall’altra.
L’emozione ti prende (finalmente) di pancia, arrivando anche a riconciliarti insieme a loro, nella speranza abbiano intuito quanto possa essere importante all’interno di una relazione un “noi” espresso come mutuo sostegno, la piena accettazione di sé e dell’altro, all’insegna di una complicità e complementarietà di vita, nel rispetto della diversità individuale.
Complessivamente un film da vedere, anche solo per discuterne, che, nel bene e nel male, si rende portatore di un “altro cinema”, capace comunque di fare la differenza per sincerità e coerenza di caratterizzazione.
Jacques Prévert
“Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro che per dare l’esempio”. (Jacques Prévert)