Nessuno tocchi Paul!

Creato il 08 luglio 2010 da Marxell

Giù i tentacoli dal polipo più competente del mondo

Il polipo Paul, grosso conoscitore di cose calcistiche

Lui l’aveva detto in tempi non sospetti (ipse dixit! esclamerebbe il nostro Caio Cesare Germanico). Mentre questa operosa nazione si abbandonava alle celebrazioni per la splendida vittoria conquistata, ormai solo da ratificare con delle semplici formalità burocratiche, Paul il Polipone, versione National Geografic del pendolino dello scomparso Maurizio Mosca, come una funesta Cassandra aveva ammonito tutti. Ma figuriamoci, si diceva, mosche e polipi sono animali inferiori, privi di qualunque raziocinio e di qualsivoglia capacità di discernimento, l’avesse detto un delfino, animale, quello sì, nobile e dalla vivida intelligenza, allora magari un dubbio sarebbe affiorato, ma suvvia, un polipo! Quelli sono buoni solo da mettere in pentola con la cipolla ed i pomodorini, o magari da soffriggere e condire con limone, prezzemolo ed olio, e solo se non sono duri, per questo appena pescati vanno sbattuti novantanove volte contro uno scoglio, come sanno bene i pescatori sul lungomare di Bari. Invece Paul non è stato degnato di alcuna considerazione…

Questa volta decidiamo di vedere la trionfale cavalcata dei valchiri con il nostro ormai abituale gruppo di amiche tedesche al Bavariapark, il Biergarten al lato dell’esposizione dei veicoli da trasporto del Deutsches Museum (U4/U6 fermata Schwantalerhöhe). Arriviamo verso le sette ed il luogo è già strapieno, bisogna combattere per una sediolina, per fortuna le ragazze sono lì già da due ore a difendere accanitamente i posti anche per noi, questi angeli del focolare, loro odiano intensamente il calcio per tre anni, dieci mesi e venti giorni esatti, soprattutto il sabato e la domenica sera, 1420 giorni di disprezzo intenso verso questa laida amante che ruba loro mariti e fidanzati, ma in quei quaranta meravigliosi giorni del mondiale sono pronte ad immolarsi al il dio pallone, vestali di una religione che non ammette dubbi, un enigma che nessuno è ancora riuscito a decifrare.

Il cibo è da tipico Biergarten, anzi peggio, visto che si cerca di approfittare dell’evento, decidiamo pertanto per una trota affumicata impalata e abbrustolita sui carboncini, del peso di circa mezzo chilo e dal costo di undici euro mancia inclusa. La scelta sembra felice in un primo momento, ma sarà pagata a caro prezzo durante la notte. La polpa è succosa e la pelle, seppur salata, conferisce quel tocco di rustico che non guasta. Degustiamo la pietanza cercando di non impuzzolirci troppo, dobbiamo abbracciarci e baciarci dopo ognuno dei tanti goal realizzati dagli undici Sigfrido alla conquista dell’Africa.

Partiti! E non succede assolutamente niente per tutto il primo tempo, strano… comunque bene lo stesso, “stiamo cucinando gli spagnoli a fuoco lento per poi trafiggerli nella ripresa” sentiamo dire. Noi italiani invece, in netta minoranza al nostro tavolo, ci guardiamo e pensiamo che questa Spagna è messa bene in campo, solida, esperta, gioca da tempo insieme, ha cominciato a vincere da poco e non vuole smettere ora, gran brutt’affare, ma chi glielo dice alle ragazze…

Ripartiti! E stavolta l’evidenza non può più essere nascosta, la Germania non passa la propria metà campo neanche con i rilanci del portiere, la Spagna domina in tutti i reparti, i tiri verso la porta sono forse pochini ma la pressione ed il controllo del gioco sono univoci e quasi imbarazzanti. Alla metà del tempo c’è ancora chi divide il tempo rimasto da giocare per i goal che si è sicuri da giorni di realizzare e vien fuori una media da playstation. E quando un catalano capellone decide che è ora di farla finita, nell’assordante silenzio solo una voce si alza distinta “Ma vieeeeniiii” e… upppssss… proprio dal nostro tavolo, creando non poco imbarazzo, tra occhiatacce di fuoco e volti mortificati. Finisce così, neanche una vuvuzela che barrisce contenta, il kit della tifosa perfetta, dotato del necessario per marchiarsi dei colori nazionali in ogni possibile forma, viene tristemente abbandonato sul tavolo, ci si reca mesti verso la Ubahn senza tanta voglia di parlare in alcuni, con tanta, tantissima voglia di parlarne a iosa e senza freni in altri.

Nella Ubahn si alza un coro che duro lo spazio di un battito di ciglia, spento da sguardi di compatimento, mentre tiene già banco il tema che occuperà i prossimi anni, ossia: “Chissà come e dove festeggeremo tra quattro anni (non se festeggieremo, solo come e dove il tutto accadrà) quando la Germania vincerà il prossimo mondiale!”. Certo ora toccherà proprio cambiare la canzoncina, quella che faceva “vierundfünfzig, vierundachtzig, trallallero trallallà“, perchè zweitausendvierzehn proprio non ci stà, suona orrendamente cacofonico, al limite ci lasciamo un bel trallallero trallallà che non passa mai di moda e ci possiamo campare un altro mezzo secolo.


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