un colpo secco sulla superficie
del lago che rintrona dentro la conca delle montagne innevate, l’aria gelida
dell’alba, il latrare lontano dei cani che hanno fiutato l’esca, l’eco di voli
giù nella valle, passi di corsa disordinata spezzano le frasche, l’aurora tinge
d’azzurro il fiato che si condensa nell’aria e ricade assiderato, gli occhi
bruciano di lacrime rapprese, la bocca secca, mi getto a capofitto nella
boscaglia più fitta, calpestando muschi e aghi di pino, inciampando nelle
radici, schivando i rami che si parano davanti, la fatica tende i muscoli allo
spasimo fino a farli bruciare, un raggio polveroso di sole squarcia la foresta,
– ecco – dall’altra parte delle acque affiora un sentiero ripido e stretto,
conduce alle pendici del monte, lassù, oltre lo strapiombo, ancora non
illuminato, domina il castello, dall’alto dei bastioni un’ombra osserva
impassibile gli ultimi sforzi della preda braccata, fa un cenno imperioso, il
gigantesco portone cigola sui cardini, si spalanca, ne esce un soldato – tricorno, giubba rossa, bottoni dorati –, imbraccia un lungo fucile che alza
e punta nella mia direzione, cado in ginocchio, stremato, avvilito –
è finita –, il soldato prende la mira, con calma e precisione estrema, il
braccio ondeggia impercettibilmente, indugia un attimo, appena un attimo, un
colpo secco sulla superficie del lago che rintrona dentro la conca delle
montagne innevate, l’aria gelida dell’alba, il latrare lontano dei cani, l’eco
di voli giù nella valle