Never Alone (Kisima Ingitchuna) – Storie e mitologia degli Iñupiat

Da Videogiochi @ZGiochi
di Fabio Cecco D'Ortona

Di rado si trova un progetto videoludico e culturale capace di smuovere le acque, o quanto meno l’interesse, dell’intero settore videoludico, sempre più ancorato alle “certezze” – se così possono esser definite – delle grandi serie sviluppate da rinomate case di sviluppo. Tuttavia, Never Alone (Kisima Ingitchuna) fin dal suo annuncio ha attirato attenzione su di sé: la curiosità nel veder realizzata una idea di questo genere, ricamata attorno alla storia di Kunuuksaayuka raccontata da Robert Nasruk Cleveland e inserita all’interno del libro ‘Stories of the Black River People‘, era tanta. In primis, perché il racconto riguardante questo giovane ragazzino e il suo viaggio alla scoperta della sorgente delle bufere sembrava tutt’altro che banale; in secondo luogo per la collaborazione coi nativi Iñupiat, che avrebbero condiviso le loro memorie per aiutare il videogioco a mostrarsi nella sua vera natura, ossia come un excursus del mondo che li circonda, sulle loro origini, le abitudini, le tradizioni tramandate di generazione in generazione, in modo tale da portare alla luce le enormi differenze culturali (e non solo) dei nativi dell’Alaska, fortemente connessi con l’habitat di quelle terre sempre meno ghiacciate, grazie alle quali hanno imparato a cavarsela, con modestia sì, malgrado ciò mai in debito di spirito di sacrificio.

È così che nasce Never Alone, il puzzle-platform di Upper One Games, che potrebbe essere interpretato anche come lascito per le generazioni future di Iñupiat, più che per il resto del mondo che ignora perfino la loro esistenza. Una piccola produzione grazie alla quale emergono dettagli importanti, racconti di vita e non tramandati nei secoli, ma soprattutto il forte spirito di autoconservazione dei giovani del posto, affatto tristi o delusi delle loro sostanzialmente povere origini.

UNA RAGAZZA, UNA VOLPE E VIOLENTE BUFERE DI NEVE

Insistenti bufere di neve opprimono la popolazione, causando disagi e brutti presagi. La popolazione, i rituali, le tradizioni, parlano chiaro: quella degli Iñupiat è una sorta di cultura timorosa, e non può essere altrimenti nel rigido ambiente artico entro cui sono immersi. Sila, impersonificazione dell’aria, secondo gli abitanti di quei posti così remoti ha un’anima, concetto spirituale che trova i suoi necessari riferimenti negli svariati spiriti benevoli mostrati in-game; Nuna, una bambina molto curiosa (non più un bambino, come nel racconto di Cleveland) decide così di avventurarsi alla ricerca dell’inesauribile fonte che alimenta le bufere, venendo a conoscenza di una figura – che non stiamo qui a svelare, evitando spoiler – che secondo la cultura e la mitologia si concretizza come la personificazione di un elemento della natura. Non è sola, al suo fianco ben presto comparirà una volpe artica, che l’aiuterà a superare alcuni passaggi durante il faticoso cammino. Nasce una forte amicizia, che non solo si riflette sul gameplay del videogioco, ma esprime alcuni concetti insiti nella cultura della popolazione, quali la più completa sintonia con la terra, il ghiaccio, l’oceano e gli animali, forme di vita per cui nutrono uno strepitoso rispetto. Ammirazione, perfino, dato che senza di loro non avrebbero potuto sopravvivere alle basse temperature, dalle quali ci si riparava per mezzo di vestiti di pelle di caribù; lo stesso dicasi per la caccia di sussistenza, che oltre ad essere legata ad un forte concetto di condivisione utile alla sopravvivenza, era limitata al minimo necessario. Nessuna futile uccisione, soltanto il minimo indispensabile per fare in modo che la comunità non morisse di fame.

L’interazione tra Nuna e la volpe si fa via via sempre più importante – per limitare la frustrazione che potrebbe scaturire a causa dei controlli poco precisi, vi consigliamo di affrontare il titolo in cooperativa, assieme ad un amico o un familiare – e ricorda un po’ quella di Brothers: A Tale of Two Sons (che però non consentiva di essere approcciato in coop): la volpe, piccola e agile, capace di infilarsi in piccoli pertugi o di richiamare a sé spiriti benevoli per agevolarci nelle scalate; la ragazzina, brava ad usare le bolas, utili per fare a pezzi strati di ghiaccio. Di nuovo, si sprecano i riferimenti e i rimandi al passato: dalle bolas, tendini intrecciati e legati ad un osso pesante che venivano impiegati per dare la caccia alle anatre, ai tamburi, rappresentazione di vita e di vitalità, arrivando agli intagli, che lo sviluppatore ha deciso di utilizzare per l’avanzamento della trama di gioco. In poche parole, si tratta di una tecnica artistica usata per raccontare una storia, solitamente portata a termine su pannelli di avorio, letta dall’autore come se si trattasse di un libro; la trasposizione di tale tecnica in un videogioco ha portato ad una presentazione della trama molto carina, accompagnata alla lingua nativa dagli Iñupiat, opportunamente assistita da sottotitoli in italiano. Purtroppo, nonostante l’attenzione nei dettagli e nei riferimenti alle tradizioni indigene di quel popolo, Never Alone pecca per qualità realizzativa in ambito prettamente ludico. Controlli imprecisi, svariati bug e glitch grafici, una evoluzione (o meglio, involuzione) della volpe, che a fine avventura muterà di forma calcando il pensiero degli Iñupiat, che vedono gli animali come esseri capaci di mostrarsi in forma umana, pregiudicano in buona parte la rilassante e divertente esperienza, che in verità non brilla per level design – eccezion fatta per un paio di passaggi – né per meccaniche, sfruttandone di piuttosto basilari. In fin dei conti, si tratta di un titolo creato con poco, dal buon ritmo, che tenta in maniera diversa dal solito di fornire dettagli e caratteristiche di vita di una popolazione nativa dell’Alaska, è però mancata un po’ di attenzione nelle fasi finali, nella creazione dei puzzle o delle stesse fasi platform, spesso davvero poco elaborate.

In termini di longevità siamo sulle tre ore all’incirca, con una rigiocabilità circoscritta al solo sblocco dei video documentari (24 in totale, coi primi due disponibili alla visione già al primo avvio dell’applicazione); per poterli visionare tutti dovrete raggiungere dei gufi appollaiati nei vari capitoli di gioco, ma nella nostra prova siamo riusciti a mancarne soltanto uno, nonostante non fossimo stati particolarmente attenti a quest’aspetto, da principio. È però con quei filmati che siamo riusciti ad apprezzare maggiormente quanto svolto da Upper One Games, riuscita nell’intento di ricreare atmosfere, mitologia e credenze degli Iñupiat, in stage di gioco belli a vedersi: la tundra, i villaggi costieri, le misteriose ed apparentemente morte foreste, creano buoni presupposti perché ci si immedesimi nei panni di Nuna e della simpatica volpe artica, anche per mezzo degli ottimi effetti sonori e dei brani audio, peccato che dal punto di vista delle meccaniche non si sia osato un pochino di più.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :