Sempre in tema di grattacieli, è finalmente finita la costruzione del più alto, l’Old World Trade Center, noto come “Freedom Tower”. Raggiunge i 1776 piedi di altezza (541 m.) e questo numero non è casuale; corrisponde all’anno della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America. Non è casuale nemmeno il punto in cui è stato eretto a Lower Manhattan. Si trova nel New World Trade Center e ha preso il posto delle Twin Towers crollate dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. La Torre della Libertà, inaugurata il 23/11/2013, è impressionante ma confesso che è ancora più impressionante il 9/11 Memorial, che sorge dove svettavano le torri gemelle ed è dedicato alle quasi 3.000 vittime di quell’orribile strage. Visitando il memoriale, costituito da un parco dominato da due immense fontane quadrate, è impossibile non avvertire una forte emozione, unita a un senso di pietà e di pace che esalta la spiritualità del luogo. Sembra impossibile che appena usciti da un’enclave quasi mistica, risparmiata dai rumori assordanti di una città che non dorme mai, come cantava Liza Minelli, il mondo continui. Ma è questa la forza propellente di New York e dei suoi abitanti, capaci di risorgere malgrado le avversità e migliorare. E se dovessi scegliere il newyorker ideale, il più meritevole ed eroico, non avrei dubbi. È quello che indossa l’uniforme del NYFDP. Furono 341 i vigili del fuoco di NY (+ 2 paramedici) che morirono mentre prestavano soccorso l’11 settembre. Sono loro il monumento vivente di una città che non di dà mai per vinta.
Avvengono tanti miracoli a Manhattan, ma uno di essi non ha soluzione di continuità. Mi riferisco a Central Park, un immenso santuario verde di 843 acri (340 ettari) che costituisce il polmone della città. E che polmone! Attraversarlo e perdersi fra le montagnole, i boschetti, i prati e i laghi che ne fanno parte, è un’avventura cui non si può rinunciare. Vi si coglie lo stesso respiro panico della “Pastorale” di Beethoven, un afflato che concilia la quiete della natura con la frenesia urbana che cinge il perimetro del parco. Sono tanti gli spunti di riflessione che il visitatore può ricavare (sia che circoli a piedi, su una carrozza trainata da un cavallo o su un risciò). Ne propongo due. Vorresti portarti a casa uno scoiattolo di Central Park. Sono quasi domestici, quasi umani. Ti aspetti da un momento all’altro che ti rivolgano la parola. Che li abbia creati Walt Disney? La seconda riflessione è culturale. Non puoi muoverti senza riconoscere un luogo o un palazzone dei tanti che si affacciano ai limiti del parco che non evochi un film famoso. Central Park è uno splendido set cinematografico e basta socchiudere gli occhi per immaginarsi protagonisti di scene filmiche passate alla storia. Basta scegliere: Il Maratoneta, Colazione da Tiffany, Harry ti presento Sally, Love Story, ecc.
Ma come, scrivi di New York senza parlare della Statua della Libertà e di Ellis Island, della Fifth Avenue, del Metropolitan Museum, di Broadway con i suoi teatri, del ponte di Brooklyn? Ne parlerai con piacere ma è già stato scritto di tutto e di più. Mi limito, invece, a ricordare il quartiere di Harlem. L’ho rivisitato dopo la bonifica e non l’ho riconosciuto. I palazzi sono stati ristrutturati e le vie sono pulite. La Harlem afroamericana, malfamata e decadente, non esiste più. Il rinascimento che ha avuto inizio a partire dalla metà degli anni Novanta del XX secolo ha riqualificato la sua parte sud, migliorando la vita dei suoi abitanti. Non ho incontrato nelle strade bande di criminali né i rapper neri di strada con le immense radio sulla spalla onnipresenti nei telefilm polizieschi degli anni Settanta e Ottanta. Tuttavia, Harlem conserva i suoi miti: il jazz e il gospel. Si può fare anche questo, in una città che esaspera i paradossi dei sensi: immergersi nell’atmosfera dei Blues Brothers in una piccola, anonima chiesetta battista, o evocare i fantasmi del proibizionismo al Cotton Club o quello di Ella Fitzgerald all’Apollo Theater. New York sa come inebriare i sensi.