Niccolò Storai: Li Romani in Russia

Creato il 20 luglio 2011 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Tutti quegli uomini e ragazzi di paese, plotoni di compaesani, che nelle pagine di Mario Rigoni Stern [1] si scambiano battute in dialetto e ricordi delle loro baite e morose? Quella moltitudine che nelle memorie di Giulio Bedeschi si snoda attraverso la neve infinita, perdendo uomini, brandelli di corpi, dignità [2] ? Come sono capitati in un ambiente così ostile?
Quelle pagine non offrono risposta esauriente, anzi evitano la domanda e s’impongono una sorta di autocensura, risultando in una memoria parziale, in una richiesta di pietà umana.

Di quella stessa esperienza narra Li Romani in Russia, poema vernacolare di Elia Marcelli, sottotenente del regio esercito, che, sopravvissuto alla campagna di Russia, decise di tramandarne la memoria. La scelta del dialetto intende, da una parte, sottolineare che si tratta di un’epopea del popolo minuto e non di eroi; dall’altra, trattandosi di un dialetto affine all’italiano, la sua scelta non va a discapito della diffusione e sedimentazione del ricordo nella coscienza nazionale.

Nel 2009, Simone Cristicchi riscopre questo poema, grazie all’opera di divulgazione del professor Marcello Teodonio, e decide di metterlo in scena, portandolo in teatro, con la regia di Alessandro Benvenuti.

Infine, lo spettacolo teatrale diventa poema a fumetti per opera di Niccolò Storai, che con Cristicchi aveva collaborato ai tempi di Centro di Igiene Mentale, illustrando il racconto che aveva ispirato la sua canzone Ti Regalerò una Rosa [3] .

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This is the price when you invade

Marcelli prende le mosse dall’annuncio della partenza:

La Russia è cotta! I nostri camerati / già l’hanno sfranta sotto i carri armati [...] Forse pe’ noi c’è ancora un po’ de gloria [...]“.

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Tuttavia, il poeta introduce immediatamente una netta frattura fra l’entusiasmo di alcuni ufficiali e lo sconcerto e la disperazione della truppa e delle famiglie, che in quella spedizione vedono solo il rischio della morte.
Per l’autore, l’ideologia militarista e imperialista è patrimonio e strumento delle alte gerarchie (dell’esercito, delle istituzioni); a quell’ideologia partecipa in piena consapevolezza la Chiesa Cattolica, che benedice le armi dell’esercito, incitando alla strage e a un grottesco massacro pietoso:

Questa è una guerra santa, combattete! [...] Lo so che Cristo ha detto ‘Nun odiate!’ / odià er nemico è un male, è delinquenza / dovete amallo, basta che sparate!”.

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In questa visione, il popolo è massa di manovra, carne da macello al servizio delle strategie di potenza fascista e vaticana. Questi diversi livelli di partecipazione, espliciti nei versi, sono resi magistralmente da Storai attraverso i volti e il senso di straniamento che avvolgono le scene. Nell’affollato addio a Roma, così come nel deserto bianco della steppa, i personaggi, resi vivi nei versi dai loro nomi e soprannomi o da una smorfia [4] sono collocati nel cuore della tragedia in forza di un destino su cui non hanno alcun controllo e che li trascina attraverso i fronti.

Il ritorno dall’Unione Sovietica del Corpo di Spedizione Italiano in Russia è la nostra specifica e dolente anabasi, a cui è tuttavia precluso l’accesso a pieno titolo alla categoria di mito positivo proprio perché noi eravamo gli invasori. Ricordiamo che la nostra vittoria avrebbe comportato la riduzione in schiavitù delle popolazioni slave e il completamento dello sterminio delle genti ebraiche, rom, sinti…

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I volti dei soldati italiani, i loro corpi dispersi nella vastità dell’inverno sovietico devono allora essere intesi prima di tutto come denuncia contro chi decise di partecipare a quell’alleanza sotto il segno della morte e della distruzione della civiltà europea e della democrazia. Leggendo queste memorie, guardando i visi, i paesaggi spettrali e desolati, i corpi dilaniati e sparsi sulla neve, gli stessi sguardi dei muli, che patiscono dai soldati il medesimo tradimento che questi hanno subito da parte del potere fascista, dobbiamo mantenere vive, e far dialogare, la pietà per tutte quelle vite e la consapevolezza che grazie a quella sconfitta l’Europa è stata salvata dal totalitarismo nazifascista e una parte di essa (Italia compresa), sotto la protezione del blocco occidentale, è riuscita a salvare o a riprendere il cammino verso la democrazia.

Il poema di Marcelli (di cui qui è proposta una selezione) guida proprio a questa lettura di quella tragedia; Storai riesce a dare forma alla paura della partenza, all’insensatezza dell’impresa, alla pena, alla disperazione e all’orrore della ritirata, offrendoci volti e corpi grevi e cromaticamente riempiti con un uso del colore che dà consistenza e peso sia ai corpi sia alle emozioni e porta alla superficie lo stato d’animo di ogni singola scena.

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Abbiamo parlato di:
Li Romani in Russia
Niccolò Storai
Basato sui testi di Elia Marcelli e dalla rappresentazione teatrale di Simone Cristicchi
Introduzione: Marcello Teodonio
Rizzoli Lizard, 2010
91 pagine, brossurato , colori – 17,00€
ISBN: 9788817045827

Riferimenti:
Rizzoli Lizard: lizard.rcslibri.corriere.it
Rizzoli Lizard, il blog: rizzoli-lizard.blogspot.com
Niccolò Storai, il blog: www.ilgrafonautadelgrottesco.com
Simone Cristicchi, il sito: www.simonecristicchi.it
Simone Cristicchi, il blog: www.cristicchiblog.net

Note:

  1. Mario Rigoni Stern, Il Sergente nella Neve, Einaudi, 1953 [↩]
  2. Giulio Bedeschi, Centomila Gavette di Ghiaccio, Garzanti, 1964 [↩]
  3. Simone Cristicchi, Centro di Igiene Mentale, Mondadori 2007 [↩]
  4. Rigoni Stern scrisse che le sue erano memorie di persone e non di luoghi, che rimasero invece vaghi, indistinti e senza nome per tutta la ritirata. [↩]

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