Nicola Ghezzani risponde ai commenti di Anoressia sentimentale del 4-10-12
Nicola Ghezzani psicoterapeuta e scrittore
Leggo dalle risposte dei lettori che si è coscienti del problema della paura di amare (quella paura che nei miei libri ho chiamato anoressia sentimentale) ma che si stenta a capirne la genesi. Quindi aggiungo qualche rigo di ulteriore spiegazione. Ebbene, per capire questa paura bisogna considerare due cose: che la nostra base psicologica è interpersonale e che il modellamento della nostra psiche è invece sociale, è costituito da modelli e da valori.Al livello dei rapporti interpersonali, in qualche misura ci difendiamo tutti dall'amore, perché amare significa essere spinti, trascinati al di fuori dell'io e fusi con un altro, dal quale si dipende. E noi tutti siamo talmente attaccati al nostro io che questo movimento che ci spinge a uscire dall'io e a dipendere da un altro ci fa paura. Si teme l'eccesso, la rottura di limiti: e uscire fuori da sé, fuori dal proprio io, è percepito come un eccesso. Solo il bambino piccolo sa abbandonarsi interamente all'estasi gioiosa dell'amore, perché ha un io ancora labile e non ne teme la perdita. Crescendo siamo feriti da questo o quel rapporto e allora ci ritiriamo, cessiamo di essere bambini e dimentichiamo l'arte di abbandonarci fiduciosi. Questo è un fenomeno universale, che cresce col crescere del valore che attribuiamo al nostro io. Ma oggi questa paura è ai massimi termini. L'io domina incontrastato e con esso la sua volontà di potenza, la volontà di affermarsi e di stare al di sopra degli altri. Pensiamo tutto in termini di desideri personali, realizzazione personale e vita personale. Di conseguenza, abbiamo il terrore della frustrazione dei nostri desideri, di fallire sul percorso della realizzazione e di ammalarci e morire. La società ci mostra le mete che dovremmo raggiungere e se c'è la possibilità che non le raggiungiamo ci sentiamo frustrati, falliti, mortali. Purtroppo – sempre a causa della pressione sociale – queste paure, anziché spingerci ad aprirci agli altri, ci fanno sentire insidiati e impauriti col risultato di farci chiuderci ancora di più in nuovi desideri, nuove ambizioni, nuove fantasie onnipotenti di invulnerabilità e di rimozione della morte. La società moderna non ci vuole coscienti dei nostri limiti, perché se lo fossimo ci ameremmo di più e vorremmo una società più giusta, più umana, più tollerante, e ci apriremmo all'amore e alla solidarietà. Scopriremmo che la vera ricchezza è l'Altro, e questa scoperta non fa bene al PIL. Circolano ancora troppi miti sulla realizzazione personale, sulla competizione, sulla “debolezza” di chi ama. Dovremmo rieducarci e rieducare gli altri alla conoscenza della incomparabile ricchezza e della stupefacente grandezza che ci viene rivelata dalle passioni, dalla fusione con qualcosa di più grande di noi.