Nicola Lisi, L’arca dei semplici

Da Paolorossi

Alle dieci ero fermo in Piazza del Duomo. Aveva fatto quella sosta per riflettere dove si potevan trovare negozi che avessero gambe in vetrina. Si ricordò di uno in Piazza della Signoria, di un altro in Condotta, di un terzo in Calimala: tutti vicini. Cominciò da quello in via Condotta. Non v’era esposta una gamba, ma una donna completa in camicia da notte. Aveva le guance grassottelle e rosee, il naso piccolo affilato e volto in su, i capelli corvini. Era stata fatta con una mano dinanzi al viso, nell’atto di lasciar andare un bacio, dopo averlo per un poco accompagnato. L’artista aveva saputo riunire in una sola figura i maggiori elementi di bellezza della donna bruna e della bionda, e in più c’aveva voluto aggiungere il sentimento, senza il quale la bellezza non si gusta. Jacopo la guardò a lungo per vedere se avesse avuto una qualche rassomiglianza con la Namur. Sarebbe bastata la concordanza di un particolare per risolverlo a fare l’acquisto. Davanti alla vetrina di Piazza della Signoria si fermò per pochi istanti. A guardare gli venne rabbia. C’era un finto bellimbusto. con i baffi corti, fini, arricciati, e vestito di grigio. In Calimala alfine trovò la gamba. Scese dal calesse e si mise ai vetri. Gli parve assolutamente eguale a quella vera della Namur. Era calzata di seta rosa e d’una scarpetta dello stesso colore.

(Nicola Lisi, L’arca dei semplici, 1938)
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