Edward Hopper, Western Motel, 1957
artistica, un’espressività pittorica che superi l’impasse in cui ormai da qualche tempo l’arte contemporanea si dibatte, sospesa tra la profezia hegeliana della “morte dell’arte” e l’ipotesi di un radicale rinnovamento propugnato dai filosofi esistenzialisti, che non rinunciano all’idea che a questa disciplina possa essere affidata la ricerca di senso che attanaglia la nostra vita. >
A partire da un nucleo di idee che, nate quasi casualmente come intuizione, si sono poi arricchite e palesate grazie ad un intenso lavoro di studio ed approfondimento, il quale ha comportato il confronto con diverse discipline (filosofia, estetica, storia dell’arte, fisica, psicologia, antropologia culturale, storia delle religioni), Nicola Vitale è arrivato, nel corso degli anni, a pubblicare dapprima il bellissimo saggio “Apollineo e dionisiaco, lo stato attuale delle arti alla luce di vecchie categorie rivisitate” (ITINERA, Milano, 2008), per raccogliere in seguito, in modo più approfondito, le conclusioni a cui è approdato in quest’opera, a cui ritengo sia impossibile non riconoscere una rara completezza.
Mi preme anche segnalare che, scritto con un linguaggio preciso, puntuale, il testo è lontano dalla difficoltà di lettura che caratterizza spesso certi accademici.
Luigi Ontani, Mirto morte e mortadella, 1985
Come l’autore tiene ad evidenziare, alla maturazione delle tesi così nitidamente espresse e scrupolosamente argomentate, alla propria lucida rilettura della storia dell’arte, egli è giunto – in modo solo apparentemente contraddittorio (lo testimonia l’episodio riportato di un suo confronto con un professore di estetica) – a partire dall’esperienza diretta di artista, in un percorso non lineare, lento e faticoso, che “procedeva per progressive rivelazioni”, ma mai abdicato sino all’invenzione (nel senso etimologico del termine) di una pittura che si risolvesse nella “ricerca di un linguaggio, di uno stile o di un soggetto da raffigurare”, ma che si concretasse piuttosto nella conquista di quei rapporti formali, indicati come elementi fondamentali della “Figura solare”, necessari ad organizzare un’opera: la composizione, i valori tonali, il chiaroscuro, il colore.
Il processo non poteva che comportare un caparbio confronto non solo – o non tanto – con la storia dell’arte e con la dissertazione estetica, quanto piuttosto con la prassi artistica dei più grandi maestri di tutte le epoche, alla ricerca di “quei valori senza tempo che costituiscono il substrato essenziale della pittura”. Dalla pratica alla teoria, quindi, non viceversa.
L’orientamento che ha guidato Vitale nella sua ricerca è quanto ritengo stia alla base dell’importanza di questo saggio e dell’illuminante percorso nel quale ci introduce col progredire della lettura. La volontà, infatti, di articolare la propria analisi – come accennato – nel costante raffronto con la pluralità di discipline che consentono di comprendere in maniera completa il divenire della nostra civiltà, rende “Figura Solare” un trattato che – lungi dal rappresentare un proclama – non è solo un accurato esame dello “stato attuale dell’arte”, ma un percorso che ci obbliga al contraddittorio, perciò all’attenzione, negli snodi fondamentali del cammino culturale e spirituale che ha accompagnato la civiltà occidentale dalle origini ad oggi. Un confronto,
Peter Angermann, Spirale, 1988
quindi, che ci impegna ad una lucida presa di coscienza dell’evoluzione del pensiero occidentale, con una particolare attenzione al momento critico che, tra fine Ottocento e inizio Novecento, ha causato la messa in discussione, e la conseguente crisi, dell’ “uomo socratico, teoretico, alessandrino”.
La volontà di comprendere la situazione in cui versano attualmente le arti figurative induce l’autore ad abbracciare un percorso analitico che prende l’avvio da una rilettura del nietzscheano binomio apollineo-dionisiaco, come linea guida per poter scandagliare i vari momenti della storia dell’arte (da qui la proposizione di “un’ altra storia dell’arte”, a cui è dedicato l’intero terzo capitolo) e suggerire una coinvolgente lettura che ci consente di comprendere come i due principi coesistano in equilibrio nei momenti aurei, mentre confliggono, con il conseguente prevalere dell’uno a scapito dell’altro, nei momenti di crisi. Tali periodi si ripropongono ciclicamente.
Il Novecento si apre, non solo per quanto riguarda l’arte (lo abbiamo accennato), come un secolo di crisi e ridefinizione di molti capisaldi del pensiero dell’occidente. La crisi è soprattutto rintracciabile, come ricorda Vitale riportando un’acuta analisi di Schönberg, nell’impossibilità della cultura – e dell’arte – di ricomporre un senso unitario e stabile al divario sempre crescente tra trascendenza e immanenza.
Nei capitoli centrali si ripercorrono, con estrema attenzione, le fasi attraverso le quali si è verificato, di volta in volta, il “fatale distacco” tra “apollineo” e “dionisiaco” che ha portato all’attuale prospettiva di declino della modernità e della relativa concezione dell’arte.
Nicola Vitale, Temporale, 2006
Si analizzano i momenti in cui l’equilibrio sussisteva, per comprendere come invece, via via, si giunga ad un prevalere, e quindi ad un momento di crisi, dell’un aspetto sull’altro, dimostrando come lo sviluppo dell’arte sia per lo più impedito da un lato dall’esaurimento delle possibilità linguistiche e dalla crisi del concetto di “nuovo”, dall’altro per l’impossibilità di recuperare la tradizione senza cadere in atteggiamenti sterili e privi di spinte spirituali e propositive.
Spesso l’arte, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo – probabilmente il più ricco di istanze di cambiamento e rinnovamento, talvolta con una forza trasgressiva che non ha pari nella storia - si dibatte così tra “tradizione ed innovazione”, spinta dalla necessità di affondare, comunque e sempre, le radici nella propria essenza atemporale, quella compensatoria e reintegrativa.
Ritengo fondamentale quanto Vitale sottolinea a proposito del concetto di “atemporalità dell’arte”. L’autore rimarca come vi sia un aspetto essenziale della medesima che non può essere soggetto al tempo. Facendo riferimento alle qualità che definiscono i cosiddetti “capolavori”, e domandandosi come queste possano risultare percepibili al di là della storicizzazione, quindi del hic et nunc, si definisce l’ “essenza del bello”, che può altresì essere definita la “verità dell’arte”. Questa è rintracciabile nella “vitalità” di un’opera, valutabile indipendentemente da ogni variazione di gusto dettata dalle mode e dal tempo. Allora non rimane che stabilire cosa sia questa vitalità. L’autore la rintraccia nei rapporti di sinergia ritmica e spirituale che sussistono tra gli elementi che costituiscono la medesima, quelli che, con Florenskij, vengono definiti “rapporti di forza”. Sono sintetizzabili in:
composizione (equilibrio e ordine ritmico delle masse nelle loro articolazioni), struttura cromatica (armonizzazione cromatica tra colori caldi e freddi, disposizione dei colori simili a livello tonale e di tinta), disegno (elemento che unisce dionisiaco e apollineo). Tali rapporti di forza non vanno però confusi con alcuni precetti classici, quali la simmetria, l’ordine, la forma, l’anatomia, la prospettiva. Questi ultimi, infatti, rappresentano i canoni del classicismo, che interpreta l’ordine formale in modo razionale e come esplicito richiamo alla forma naturalistica, mentre i “rapporti di forza” sono “valori essenzialmente ritmici, legati alla percezione spontanea delle tensioni, all’organizzazione delle energie ai vari livelli dell’immagine” (Ivi pag. 180)
Balthus, Les beaux jours, 1944-49
Da questa approfondita analisi del cammino dell’arte, dalle origini ai giorni nostri, che comporta un attento confronto con alcune figure che Vitale ritiene esemplari nella loro ricerca di una prassi pittorica che sappia assurgere a modello di quel rinnovamento radicale che egli fissa come exemplum, si arriva ad individuare in due artisti – Hopper e Balthus – il paradigma di quel “fare pittura” in cui risiede la possibilità di un superamento della crisi dell’arte contemporanea, frequentemente vissuta e interpretata al grido di “tutto è stato fatto”, che si risolve in denuncia di un troppo diffuso ed esasperato nonsense di mode momentanee dagli esiti discutibili.
Del resto – come afferma Gadamer e come Vitale fermamente argomenta – “la fine dell’arte sarà sempre l’inizio di un’arte nuova”.
Hopper e Balthus paiono entrambi procedere in direzioni apparentemente differenti rispetto ai loro coetanei. In essi sembra prevalere un classicismo di stampo nostalgico. In realtà nelle loro opere i valori tradizionali della mimesi naturalistica sono resi essenziali dal rigore ritmico della geometrizzazione delle forme, che intensifica la forza astratta delle immagini. Inoltre vi è una sottile letterarietà che aleggia nell’atmosfera dei loro dipinti, che crea quel substrato poetico e misterioso che li caratterizza. In questa mescolanza di valori opposti consiste il loro essere precursori di un nuovo ed inedito orientamento espressivo.
Nell’orizzonte di quanto rappresentano vi è quella conciliazioni degli opposti che Vitale definisce “alchimia”, in cui rintraccia il valore fondante dell’arte, la quale si manifesta in rari capolavori. Tuttavia il processo alchemico in Hopper e Balthus è portato alle estreme conseguenze, per cui forme e contenuti desueti, assumono un valore inaspettato ed edificante. Ciò lo notiamo innanzitutto in una figurazione stereotipata, vicina a molta illustrazione dell’epoca, o in contenuti depressivi quali solitudine e morbosità, che il particolare processo di trasformazione porta ad acquisire un valore nuovo in cui è contemplata una visione unitaria dell’esistenza, superando i pregiudizi delle categorie morali e formali dell’occidente.
Salvo, Ottomania, 1991
Per ottenere tale risultato questi artisti hanno dovuto trovare un modo per superare la temporalità dell’arte moderna, immergendosi in una particolare concezione di Tradizione in cui, secondo l’accezione di Zolla, l’arte di ogni epoca e cultura pone i principi di riavvicinamento all’essere. Vengono così a perdere di significato concetti quali quello di “stile” e “linguaggio”, dati su cui la critica moderna pone le sue fondamenta per valutare le opere e in cui gli artisti rimangono intrappolati in un’estenuante, quanto sterile, ricerca del nuovo.
Hopper e Balthus si propongono invece di ricostruire un nuovo connubio tra istinto e coscienza, a partire dai principi di apollineo e dionisiaco, per arrivare sul piano dei contenuti alla reintegrazione nella globalità dell’esperienza estetica di elementi inconsci.
Questa stessa attitudine è ravvisabile nell’operare di artisti più recenti affermatisi negli anni ottanta sul panorama internazionale: Salvo, Jan Knap, Milan Kunc, Peter Angermann, Luigi Ontani, Lorenzo Bonechi, Helgi Fridjonsson. In essi si ritrova in primo piano quel processo alchemico che Hopper e Balthus hanno introdotto, facendo emergere forme e contenuti rimossi che nella nostra epoca sono stati degradati nel consumo della cultura popolare, qui trasfigurati dalla intensità della coordinazione ritmica delle immagini, da cui prende forma la loro peculiare radiosità.
Una forte tensione trascendente che pone su un piano rinnovato dall’interno l’oggettività di forme e significati
Milan Kunc, Magia, 1996
che sono parte del nostro modo di concepire il mondo, quanto una soggettività fantastica, in un processo che vede continuamente alternarsi sacralizzazione e desacralizzazione, essenzializzazione e un contemporaneo indulgere a tratti nella narrazione e nell’immaginazione.
Questo medesimo processo è quanto Nicola Vitale cerca di esperire nel proprio quotidiano percorso artistico, in una pittura che procede per strutture originarie, attraverso un ritmo compositivo essenziale che armonizza le forme di un mondo in parte vissuto e in parte immaginato o sognato, trasfigurato da una forza che si nutre di essenzialità, luce, splendore. Questa è la “Figura solare”. CRISTINA PALMIERI – per MAE Milano Arte Expo
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FIGURA SOLARE di Nicola Vitale
DALLA PREFAZIONE
di Maddalena Mazzocut-Mis
(docente di Estetica all’Università degli Studi di Milano – link: SITO)
Caro Lettore,
il lavoro che ti accingi a leggere non è solo frutto di una ricerca o di una riflessione. È piuttosto teoria applicata; è tecnica che diventa teoria. Il testo “parla” all’epoca attuale e nasce nell’attualità della pratica artistica; apre a questioni legate alla sensibilità e al sentimento, prima ancora che alla ragione; apre alla tecnica artistica prima ancora che all’estetica; supera la morte dell’arte, delineando un’arte solare che, lontano da essere un manifesto d’arte contemporanea, è ricerca di una coerenza di senso, a partire da un percorso artistico ad ampio raggio – una irradiazione solare – per diventare o essere prima di tutto pratica artistica.
Della figura solare l’Autore disvela ordito e trama e, da un’aderenza istintiva (quanto genio c’è nell’istinto!) a idee che erano sostrato comune a diversi artisti – così Vitale racconta, facendo dell’autobiografia un percorso di ricerca –, diventa proposta di prassi poetica e di interpretazione estetica.
La pratica artistica non è sempre facilmente teorizzata dagli stessi suoi attori, al di fuori di essenziali e a volte toccanti analisi legate alla poetica; eppure Nicola Vitale esce dal campo della teoria delle arti per addentrarsi nel dominio estetico, affrontando percorsi storico-filosofici non facilmente sradicabili da pericolose ideologizzazioni, individuando proposte estremamente vivaci che vanno nella direzione di un vissuto radicato e documentato, fino ai vasti universi delle “differenze” tra artista e artista, nel momento in cui l’arte, prima tra tutte le espressioni dell’uomo, non può presentarsi come unitaria o monolitica. L’avvertenza dello stesso Autore è del tutto chiara: «questo scritto è dedicato all’esperienza concreta della pittura, argomento che tuttavia non può prescindere da un discorso generale sull’Arte». Il testo non tradisce mai questa premessa. […] Maddalena Mazzocut-Mis
Helgi Fridjonsson, Il dado, 1991
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Genere: Saggio arte moderna-contemporanea
Titolo: FIGURA SOLARE
Sottotitolo: Un rinnovamento radicale dell’arte
inizio di un’epoca dell’Essere
Autore: Nicola Vitale
Prefazione: Maddalena Mazzocut-Mis
Docente di Estetica – Università degli Studi di Milano
Editore: Marietti 1820
Patrocinio: Fondazione Per Leggere
Biblioteche Sud Ovest Milano
I Edizione: novembre 2011
Pagine 334, Prezzo E. 25,00
NOTA
Questo libro offre, in un momento di cambiamento, una visione nitida e convincente di quanto sta accadendo nell’arte visiva, ponendo in modo deciso l’ipotesi di un svolta epoca le in atto. L’autore affronta questi temi alla luce della sua esperienza trentennale, dando spazio ad ampie digressioni che rendono il discorso accessibile anche a un pubblico non specialistico. La conoscenza approfondita della pittura ha permesso all’autore di trovare un collegamento rivelatore tra quanto elaborato da alcuni artisti indipendenti del panorama internazionale, affermatisi negli anni Ottanta, e il pensiero filosofico postmoderno, che si interroga sul destino delle arti, ne cerca il valore originario di strumento reintegrativo per un riavvicinamento all’unità dell’essere. Il percorso è dunque destrutturante: dalle cristallizzazioni intellettuali in cui si è arroccata l’arte del Novecento, si sciolgono lentamente i dilemmi di un’estetica che sembra arrivata a una sorta di punto finale. L’arte nuova, individuata da Nicola Vitale, dopo le premesse di Hopper e Balthus, nell’opera di Salvo, L. Ontani, J. Knap, M. Kunc, P. Angermann, H. Friðjónsson e L. Bonechi, ritrova il valore estetico originario, rimettendo in campo quell’aspetto dimenticato di pathos ritmico, di empatia sensibile e forza trascendente della visione che ritroviamo ad ogni rinascere ciclico dell’arte, che si manifesta in intensità e splendore dell’immagine. In questo passaggio epoca le che si rinnova si abbandona l’idea di un’arte che vuole descrivere o denunciare una realtà che ha perso consistenza e senso, privilegiando invece l’aspetto di disciplina in grado di coltivare una nuova realtà spiritualizzata, all’insegna della riunificazione della coscienza. Una solare gioia di vivere in cui sono uniti e trasfigurati stereotipi della figuratività popolare, elementi drammatici e strutture astratte del nostro tempo, proiettati in una più ampia prospettiva esistenziale. (Leggi l’introduzione e il primo capitolo su www.figurasolare.it)
Lorenzo Bonechi, Conversazione con paesaggio, 1986
A CHI SI RIVOLGE
E’ un saggio interdisciplinare indirizzato a un pubblico non specialistico, scritto con chiarezza e con profusione di spiegazioni ed esempi tratti dall’esperienza concreta, artistica ed esistenziale. I campi cui il libro può destinarsi sono tra i più vari. Innanzitutto potrà interessare tutti coloro che amano l’arte e sono interessati a nuovi possibili sviluppi dell’arte di oggi, o coloro che si pongono domande sul futuro della nostra civiltà e cercano argomenti per una nuova visione delle cose.
In modo più specifico interesserà il mondo dell’arte contemporanea, che arrivato ad esaurire la ricerca dei linguaggi, da tempo si interroga sulle possibilità immediate di sviluppo dell’arte. Saranno interessati critici, curatori, giornalisti d’arte contemporanea, galleristi, collezionisti e gli stessi artisti. Nell’ambito filosofico interesserà gli studiosi di estetica, di teoria delle arti, ma anche i filosofi in genere e tutti gli studenti sensibili alle disquisizioni dell’esistenzialismo che vede l’arte come elemento importante per la ricerca del senso. Interesserà anche gli storici dell’arte che stanno cercando elementi più profondi in alcune correnti artistiche del Novecento o in autori isolati, che l’enfasi di una contemporaneità spettacolarizzata ha frainteso, negletto o troppo presto dimenticato.
INFORMAZIONI SUGLI ARTISTI
Salvo (Salvatore Mangione) è nato nel 1947 a Leonfonte, nella provincia siciliana di Enna, e risiede a Torino. Ha raggiunto notorietà internazionale già negli anni settanta, con mostre in importanti gallerie e musei in Italia, Francia, Germania, Olanda e Stati Uniti, così come gli sono state dedicate diverse mostre antologiche in Europa. E’ stato invitato alle edizioni del 1976 e 1984 della Biennale di Venezia e nel 1972 alla rassegna Documenta 5 di Cassel. Nel 2007 un’importante retrospettiva al GAM di Torino (Galleria Civica di Arte Moderna). E’ oggi uno dei più noti pittori italiani.
Jan Knap, Senza titolo, 1989
Jan Knap è nato nel 1949 a Chrudim nell’odierna Repubblica Ceca, trasferitosi in Germania nei primi anni Settanta, frequenta l’accademia di Düsseldorf sotto l’insegnamento di Gerhard Richter. Nel 1979 fonda con Milan Kunc e Peter Angermann il Gruppo Normal. Partecipa alla XI Biennale di Parigi. Negli anni ottanta espone con gallerie di rilievo in Germania, Italia e Stati Uniti. Gli sono state dedicate mostre antologiche in Europa. Oggi è un artista riconosciuto a livello internazionale.
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Milan Kunc è nato a Praga nel 1944, dove tuttora vive, si trasferisce nel 68 in Germania per seguire le lezioni di Joseph Beuys e Gerhard Richter all’Accademia di Dusseldorf. Sono gli anni del Gruppo Normal con Knap e Angermann. Partecipa alla XI Biennale di Parigi. Negli anni 80 raggiunge notorietà internazionale esponendo in note gallerie in Germania, Olanda, Stati Uniti e Italia. La sua opera è presente in importanti musei europei.
Peter Angermann, nato nel 1945 a Rehau in Baviera, terzo componente del gruppo Normal, ha condiviso con Knap e Kunc negli anni Settanta l’esperienza all’accademia di Dusseldorf sotto l’insegnamento di Joseph Boys. Da metà degli anni settanta espone prevalentemente in Europa. I suoi dipinti sono in permanenza in musei in Germania e in Italia. Dal 1996 al 2002 ha insegnato pittura alla Städelschule di Francoforte, e dal 2002 al 2010 all’Academy of Fine Arts di Norimberga.
Luigi Ontani è nato nel 1943 vicino a Vergato, un paese della provincia bolognese in Italia. Il suo lavoro, versatile e poliedrico, spazia in tutte le modalità espressive dell’arte visiva. Artista noto in Italia e all’estero, da più di trent’anni espone assiduamente in gallerie private e spazi pubblici di rilievo, così come gli sono state dedicate diverse mostre antologiche. La sua opera è in permanenza in musei di rilievo internazionale. E’ stato invitato alla Biennale di Venezia nelle edizioni del 1972, 1978, 1984, 1986 e del 2004, e in importanti rassegne internazionali.
Helgi Friðjónsson è nato nel 1953 a Budardalur, un paese nel nord ovest dell’Islanda, Partecipa alla XLIV Biennale di Venezia del 1990, Padiglione Islandese. Espone in mostre personali e collettive in vari paesi europei. La sua opera è presente in diversi musei del Nord Europa. Nel 2005 il National Museum of Iceland di Reykjavik gli ha dedicato una grande retrospettiva.
Lorenzo Bonechi nasce nel 1955 a Figline in Valdarno, frazione della provincia di Firenze, e scompare prematuramente nel 1994, all’età di trentanove anni. Raggiunge notorietà negli anni 80 in Italia e a New York, dove espone alla Galleria Sperone Westwater. I suoi dipinti sono stati presentati alla XLVI Biennale di Venezia del 1995. Nel 2005 è stata realizzata a Palazzo Strozzi a Firenze una grande esposizione di tutta l’opera.
NOTIZIE SULL’AUTORE
Nicola Vitale (link: SITO) è nato a Milano, dove vive, nel 1956. Poeta e pittore, unisce alla ricerca espressiva un costante approfondimento conoscitivo. I suoi dipinti sono stati esposti dal 1987 in mostre personali e collettive in Italia, Svizzera, Stati Uniti e Islanda. Già quindici anni fa il critico Pierre Restany scriveva di lui: «Nicola Vitale è un pittore che ha saputo mantenere in lui questa ingenuità basica senza la quale non esiste la poesia. Nel mondo di oggi il suo esempio prende un valore mentale, sentimentale e umano di grande rilievo.» Lo stesso anno il critico francese presentava una sua mostra alla New York University. Recentemente gli è stata dedicata dal Comune di Milano una grande personale a Palazzo Sormani. E’ stato invitato alla 54° edizione della Biennale di Venezia (Padiglione Italia).
Ha pubblicato i libri di poesie: La città interna (Guerini e Associati 1991); Progresso nelle nostre voci (Mondadori 1998); La forma innocente (Stampa 2001). Il suo ultimo libro Condomino delle sorprese, pubblicato da Mondadori nel 2008, è stato tra i più premiati di quell’anno. E’ tradotto in albanese e spagnolo. E’ presente nell’antologia di Mondadori, Poeti italiani del Secondo Novecento, a cura di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi. Ha pubblicato articoli di critica e di estetica, e ha tenuto conferenze in associazioni culturali e in sedi istituzionali, prevalentemente sul tema qui affrontato. Una parte del presente saggio è stata pubblicata nel 2009 dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Dal 1991 è docente dei corsi di Pittura organizzati dall’Unicredit.