La tipizzazione caricaturale dei personaggi, in cui la mimica facciale va a fondersi con le rispettive qualità caratteriali, ha forse il torto, depauperata di una valenza morale, di ridurre il tutto ad una sorta di autocompiacimento nel cercare la risata con la riproposizione trita e ritrita delle più classiche barzellette denigratorie, in questo perdendo nettamente il confronto con la levità del precedente cinematografico. Non a caso questa volta entrano nel lungometraggio anche violenza e qualche volgarità, sconosciute in “Giù al nord”, che rovinano, pur nella loro proposizione ironica e fumettistica, quell’atmosfera da saga paesana cui ci eravamo abituati.
Ma Boon in questo caso va oltre azzardando una lettura sociologico-semplicistica, laddove adduce esemplarmente il fatto che, alla fine, ogni innovazione ed evoluzione è tanto apparentemente complessa quanto semplice e indolore, per dedurne l’assioma che, come in meno di vent’anni si è rivoluzionato il nostro approccio a computer, telefonini e alla tecnologia in genere, così si possono abbattere con la stessa semplicità anche i pregiudizi più atavici che dominano i rapporti tra popoli ed individui. In conclusione, un’opera che regala le magistrali interpretazioni dei due protagonisti, che facilmente riescono a suscitare grasse risate nello spettatore, ma che, pur proponendosi nel solco di “Giù al nord”, forse abusa un po’ troppo di cliché ormai noti e funzionali, finendo così per privarsi di originalità e freschezza, ma, soprattutto, perdendo la capacità di stupire e sorprendere.