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Niger / Si chiama Areva la "guardia armata" al tesoretto dello zio François

Creato il 04 febbraio 2013 da Marianna06

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Mentre noi tutti abbiamo assistito sabato, tramite  tv satellitare, all’accoglienza calorosa e festaiola per il presidente francese Hollande prima a Timbuctu, libera da i “feroci” jihadisti , e poi a Bamako, confusa capitale maliana, e forse ci è scappata da parte nostra pure qualche lacrimuccia di gioia, ben altri calcoli imbastisce la Francia continentale, la quale è tutta presa dal concupire il”suo” Niger.

E questa passione, diciamo “fatale”, che forse ci sfugge, ha un nome ben preciso.

Si chiama “uranio”.

Quello, appunto, che l’Areva (la mezzana) offre, periodicamente, come concordato, al “suo” padrone di turno.

Ultimamente trattasi dello “zio” François.

L’ospite “nuovo” di zecca dell’Eliseo, che qualche ambizione politica forse ce l’ha proprio come lui stesso ha dichiarato alla folla di Bamako.

Il cittadino europeo,quello francese e non solo, si deve semmai preoccupare, e molto anche, della fazione armata islamica maghrebina di al-Qaeda (Aqìm),che impazza nel Sahel,seminando violenza e morte.

 E appoggiare, com’è umano che sia, l’ ennesima guerra “santa”,di cui per  altro andare fiero.

A Parigi,  nei piani alti dei palazzi del potere, quello inossidabile che conta, si guarda intanto alle miniere di uranio nigerine come al proprio asso nella manica per fare la voce “grossa” e contare  un po’ più degli altri,  in tempi di dichiarata “magra”per l’ Europa.

Parigi e il Niger, infatti, per chi non lo sapesse, hanno in comune appena il 70% delle esportazioni di minerale di uranio dal Paese africano.

L’Areva poi ,la più grande  multinazionale del settore,  è colei che opera in loco con i suoi uomini di continuo a rischio sequestro, ma che fanno da “sentinella” agli interessi francesi  minacciati dai soliti  scaltri cinesi, canadesi et similia.

Diversamente il Niger altro non esporterebbe che bestiame, tessuti e derrate alimentari modeste come cipolle e fagioli.

Dall’uranio nigerino la Francia ricava, oggi, l’80% della produzione di energia,che è tantissimo e che, a sua volta, vende ad altri incassando a piene mani.

Ora la tutela francese delle riserve di uranio è messa purtroppo a dura prova, logisticamente, da un territorio dai confini molto permeabili.

E qui entrano in causa i famosi Tuareg, i quali, da sempre, hanno fatto notare al Niger la necessità di una ripartizione equa delle ricchezze del sottosuolo delle loro terre limitrofe.

Ma non c’è stata risposta all’appello .Gli affari vantaggiosi erano e sono altrove.

E il risultato, per la gente comune, è stato e rimane attualmente  povertà per gli uni e per gli altri.

Se si eccettua una certa dirigenza politica, che ottiene, sempre e comunque, cospicui personali guadagni nel concedere concessioni agli stranieri in terra d’Africa.

Ma questa è la “nota” corruzione, che fa parte da vecchia data del pacchetto-Africa.

Sta di fatto che la guerra che si sta combattendo in Mali, per meglio dire che combatte principalmente la Francia,  potrebbe avere risvolti al momento imprevedibili, che vanno molto  oltre la guerra al fondamentalismo islamico.

Concludendo il “gioiello” nigerino che l’Areva s’appresta a donare alla Francia è il progetto d’apertura di Imouraren, rimandato di un due anni a causa dei conflitti in corso troppo vicini.

Imouraren comunque, con 5mila tonnellate di uranio all’anno, cambierà di sicuro la geografia degli approvvigionamenti di uranio e i vantaggi saranno inevitabili tanto per la Francia quanto per il Niger.

La domanda finale, però, resta sempre la stessa(e fa molta rabbia) : chi saranno realmente e in definitiva, da una parte e dall’altra, i beneficiari di questa “manna”?

E ancora qualche altro interrogativo è d'obbligo : quanto torto hanno i Tuareg se reclamano “qualcosa” che è anche propria ?

E noi, continueremo noi occidentali, a sopperire alle emergenze umanitarie delle genti nigerine mentre altrove si banchetta, con la consueta ingordigia, lautamente?

Non è più sufficiente dire : così va  il  mondo. E  stare  a guardare.

    a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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