Io, che non sono riuscita a recarmi alla presentazione dell’iniziativa per colpa della segreteria telefonica malfunzionante (non ho infatti trovato per tempo il messaggio di Erminia Manfredi che gentilmente mi invitava!) vorrei dare, nel mio piccolo, un contributo al ricordo del grandissimo artista che ho avuto l’onore di conoscere, e al fianco del quale l’onore, addirittura, di recitare, pubblicando qui sul blog un’intervista che gli feci. Risale al 1997, uscì sulla rivista di cultura e politica Idea ed è attuale in modo abbastanza impressionante. Il direttore della testata, Giuseppe Selvaggi, gradì moltissimo il pezzo e lo fece precedere da un suo commento:
La scelta di intervistare Nino Manfredi risulta felice, per l’alta presenza etica del popolare e grande attore. Con umiltà di statura superiore, Manfredi conclude la sua dichiarazione, tra disillusione e nello stesso tempo necessità di non rinunciare, invitando a cercare i modelli che non ci sono, perché: “Chi ha dignità, continua”.
Nino Manfredi: la verità del teatro e le recite dei politici
di Rita Charbonnier
Una recente discussione sulla presunta capacità della letteratura contemporanea di influenzare le convinzioni politiche dei lettori ci ha indotti a indagare sulle possibilità che in tal senso avrebbe il teatro contemporaneo. Abbiamo interpellato Nino Manfredi e in primo luogo gli abbiamo chiesto: il teatro può muovere il consenso politico?
Nelle sue commedie si trattano diversi argomenti di attualità. Il teatro è quindi anche un luogo per riflettere su questioni di interesse generale – dunque politiche?
MANFREDI – Chiunque abbia fatto teatro ha sempre cercato di esprimere un malcontento, e il malcontento oggi è reale. La disoccupazione è aumentata, il disagio è aumentato, i negozi chiudono, i ristoranti perdono clienti e quindi eliminano anche il giorno di riposo… questa è la realtà con la quale tutti devono fare i conti. E intanto i politici non fanno che scambiarsi i ruoli ed evitare di affrontare i problemi reali. I veri teatranti sono i politici, non gli attori. Hanno certe bocche… io li guardo, in televisione, e le loro bocche menzognere mi fanno impressione. Poi, più sono belli e più mi fanno impressione, perché i politici brutti sembrano indossare una maschera, sono come dei cartoni animati, delle vignette… quelli belli no, loro sono proprio spaventosi. Il loro è un continuo gioco delle parti, e forse non si accorgono nemmeno che stanno mettendo in scena Pirandello. In questa confusione non si riesce a capire qual è la manovra, chi muove i burattini e chi dirige lo stesso burattinaio.
In passato lei è stato vicino al Partito Socialista. Queste sue affermazioni derivano anche dalla delusione per il fallimento di un ideale?
A cosa è dovuta, secondo lei, questa perdita dei valori nella politica?
MANFREDI – Ai soldi, alla superficialità, al protagonismo. A una generale tendenza di questa società a rincorrere modelli sbagliati, a puntare al risultato facile dimenticando che per ottenere qualsiasi cosa è necessario applicarsi, faticare, studiare. Ogni meta è una conquista; non dimentichiamo che tutti i grandi artisti della storia sono andati a bottega. Certo, gli ostacoli da superare oggi sono aumentati, perché siamo molti di più.
Vede una via d’uscita da tutto questo?
MANFREDI – Mah… sono state denunciate un sacco di persone, si sono massacrati fra loro, è venuto fuori il peggio del peggio… ma poi cosa è cambiato? Dov’è la volontà di migliorare la situazione? Secondo un vecchio detto, a chi ha a che fare con l’oro resta solo la polvere, e invece a certa gente sono rimasti i lingotti ammucchiati in cantina. L’altro giorno parlavo con un grande industriale, un uomo di ottantasei anni, che ha fatto cose straordinarie, e lui mi parlava del grave problema del costo del lavoro: finché non si risolverà, i datori di lavoro non avranno la possibilità materiale di impiegare persone, e di toglierle così dalla disoccupazione. Ma nessuno sembra voler affrontare questi nodi cruciali; e chissà che dietro le dichiarazioni ufficiali non ci siano delle manovre occulte.