Ninuccia e le scarpe degli Angeli(settimo cap.)

Da Gattolona1964

La fine del viaggio.

Ninuccia sola ed infreddolita, decise di sdraiarsi su una panchina nella saletta d’attesa della stazione. “Almeno qui sono al chiuso e sentirò meno quel gelo dentro e fuori dall’anima.”A quell’ora la saletta era deserta. Pensò che non avrebbe dato fastidio a nessuno se avesse allungato le gambe per riposare meglio. Non c’era più Gaudenzio a vegliare sul suo sonno e non ci sarebbe stato a svegliarla, cosìche avrebbe dovuto puntare la sveglia del cellulare che teneva ben nascosto. Non l’aveva ancora buttato, doveva almeno arrivare a Castrolibero. Poi si sarebbe liberata del cellulare e degli ultimi euro di taglio grosso mettendoli nelle cassettine delle candele di una Chiesa. Chissà perché, ma Gaudenzio era sparito nel nulla, forse se ne era andato via a piedi per non incontrarla più. Era completamente uscito dalla sua vita e dai suoi pensieri finalmente! In tal modo avrebbe portato a termine il suo compito, senza stupide in inutili distrazioni. Mise la suoneria del cellulare per le cinque e cinquanta, cercò di addormentarsi con la valigia addosso come fosse una coperta, per sentire meno il freddo pungente. Si sistemò in seno il telefonino in modo da udirlo vibrare, non appena avesse iniziato a farlo, poi chiuse gli occhi. I giorni alla Fabbrica delle Scarpe erano sempre più lunghi, il lavoro scarseggiava, i dipendenti erano assai demotivati e Mastro Raffaele, era divenuto ancora più cattivo ed insopportabile. Dello stupro che fece a Ninuccia non se ne faceva mai cenno, come se non fosse mai successo. Imprecava invece molto spesso inveendo contro Angelica, che causa quel gravissimo ictus accompagnato da un altrettanto importante ischemia cerebrale, non poteva più recarsi al lavoro. Ogni giorno chiedeva a Ninuccia “Ma tua madre non si riprenderà mai più? Non è in grado di tenere in mano nemmeno una tinagliozza? E’ così grave?” “Mia madre ringraziando Dio, non si può più muovere dal letto,sta in poltrona tutto il giorno ed è legata in modo che non  cada e non si faccia altro male. Ha la bava alla bocca di continuo e la pezza tra le gambe, come un bambino piccolo. Se con noi non ci fosse Rosina ad accudirla, della quale peraltro mi fido ciecamente, nemmeno io verrei più qua dentro a questo mattatoio. Ma per mangiare e per far mangiare anche loro due, devo continuare a vedere la vostra faccia da delinquente!Da quando mio papà è morto, non sappiamo più come fare per tirare avanti e credo di compiere il mio dovere per la famiglia, venendo in questo posto maledetto. Mia madre per me non esiste più da parecchio tempo e voi questo lo sapete molto bene”.“Potresti fare anche carriera se solo tu lo volessi, potrei farti diventare ricca, la più ricca del paese” disse Mastro Raffaele scostandole una ciocca di boccoli biondi, sfuggita al foulard nero che portava sempre sul capo. “Se provate a toccarmi anche solo con un’unghia vi uccido!” disse Ninuccia con il martello puntato alla tempia del padrone, che alla vista dell’oggetto pesante indietreggiò subito. “Stavo scherzando, continua a cucire, dobbiamo terminare dieci paia di stivali per stasera, sono per i figli e per la moglie del Sindaco e stai zitta”. Imprecando ancora, uscì dalla fabbrica per riprendersi dalla minaccia di morte, sicuro che Ninuccia lo avrebbe fatto. In quell’istante preciso, arrivò Rosina con il cestino di vimini per il pranzo: stava per suonare la sirena che annunciava la breve pausa. Appena scesa dalla bicicletta, Rosina corse incontroall’amica e abbracciandola stretta, le chiese:” Come stai oggi? Ti ha lasciata in pace stamane quel demonio?”“Io ho avuto il mio bel daffare con tua madre. Stamane non ne voleva sapere di stare legata, ha starnazzato e grugnito più del solito. Stranamente chiedeva, o meglio mi faceva capire che voleva te e non me.” “Lascia stare Rosina, mia madre non m’ incanta! Non mi importa nulla di lei!I danni fisici e neurologici che ne sono derivati fanno sì che non sia più in grado di ragionare, quindi è indifferente per lei chi ha accanto. Secondo il mio parere non ti vede nemmeno, non sa più chi è e che cosa sta facendo dentro quella stamberga. D’altronde ha avuto quello che si meritava:una lenta ed insopportabile agonia, prima della morte.” “Ma potrebbe campare ancora migliaia di anni” disse a malincuore Rosina, “E’ tenace più che mai, l’appetito non le manca ed è diventata grassa come un maiale pronto per essere macellato, a furia di stare immobile e di non lavorare più!” “Di lei comunque ti prego di non parlarmene, almeno quando vieni qua a portarmi il pranzo. Parliamo di noi due invece e del nostro futuro, per favore!” E così dicendo iniziarono a mangiare gli squisiti panini al formaggio di pecora, che Rosina sapeva preparare con quel poco che avevano in casa. Ridevano e parlavano del ballo che ci sarebbe stato il ventiquattro ottobre, in occasione della festa del Patrono. A Castrolibero il Patrono era San Raffaele Arcangelo, che malauguratamente aveva lo stesso nome di quel porco. O meglio il delinquente portava lo stesso nome di un Santo, questo fatto a Ninuccia proprio non andava giù. “Lo sai Ninuccia, chi ti voleva portare il cestino oggi? Tu non lo immagini nemmeno! Te lo voleva portare Fornasetti: ti ricordi il figlio della Iones?” “Chi? Chiese Ninuccia mentre scoppiò a ridere di gusto e una briciola di pane finì in un occhio di Rosina. “Fornasetti Achille? Ma chi, il  furbo? Ma non era quello che era andato su al nord, a cercare fortuna ?”.
“Non te l’ho detto che è tornato la settimana scorsa? Lo sentono tutti al paese tossire più che mai, soprattutto lo sentono bene al bar, davanti ai cordiali che si fa ogni giorno e ad ogni ora”. Ninuccia era sbigottita dalla notizia e ascoltò attentamente Rosina che proseguiva felice nel raccontare le ultime notizie. “Al nord più che fortuna ha preso solo delle brutte malattie, dato il clima umido che hanno, ed è dovuto ritornare qua a casa dalla Iones al caldo secco, per asciugare i diversi focolai che ha nella schiena. E non solo quelli!
Visto che gli si è asciugato anche il portafoglio a furia di bere e di giocare a carte, ora dovrà supplicare Mastro Raffaele di riprenderlo a lavorare alla fabbrica, se vuole mangiare.”. “E non solo bere!” disse ridacchiando Ninuccia “Così voleva portarmi lui il pranzo: perché non glielo hai permesso Rosina?Mi piacerebbe rivederlo, una volta lavato e sbarbato vorrei vedere se è rimasto quel bel ragazzo che era, anche se oggi a ventinove anni sarà un po’ cambiato, presumo. Come noi due, non ti pare?” Finirono i loro panini, fecero appena in tempo a trangugiare un sorso di limonata fresca, che il padrone con uno schioccare di dita ordinava agli operai di ritornare al lavoro, così si riabbracciarono e Rosina salendo in bici la salutò con la mano e prese la strada di casa. “Ciao stella, ci vediamo, stasera a cena,”lo dissero in coro tutte e due assieme, come da piccoline. Ninuccia riprese a lavorare alla sua postazione, oggi era lei alla macchina Landus per cucire le suole alle tomaie. E doveva stare particolarmente attenta, perché la Landus era costata un patrimonio al padrone, l’aveva acquistata in America con le sovvenzioni delle tonache nere, ed era una delle più sofisticate macchine per l’epoca, perciò niente pensieri o distrazioni. Mentre con il suo piede velocissimo nel muovere la pedivella della Landus, con gli occhi e con la mente osservava che tutti gli attrezzi fossero al loro posto, nelle loro cassette numerate con il gessetto bianco da lei stessa e che niente fosse fuori posto. In questo era maniacale, precisa, dotata di una memoria elefantiaca. Mastro Raffaele sapeva perfettamente che su di lei ci si poteva contare sempre. Sapeva dove era stato riposto il tal chiodo, o il modello in cartone, conosceva la rimanenza dei bottoni rapidi e quanti ne doveva ordinare il lunedì successivo. Era lei che con la sua professionalità e padronanza, avrebbe potuto dirigere benissimo la Fabbrica delle Scarpe, senz’altro le avrebbe reso molti più soldi di quanti Don Raffaele riuscisse a metterne da parte. Su questo ogni Santo del Paradiso ci poteva scommettere! Aveva il raro dono che le donne in genere non possiedono: non conosceva invidie, rivalità o gelosie, se qualche altra femmina era più bella o più brava di lei la faccenda la inorgogliva ed era fiera di essere una donna. Tutto era al suo posto: i contenitori per le simici, le tacce, le raspe, l’ ammolaturo, gli stampini, la strappa e tutto ciò che occorreva per cercare di confezionare un paio di scarpe degno di poter essere chiamato così. La Fabbrica produceva scarpe molto economiche perché i soldi scarseggiavano sempre. Gli Scarpari tentavano di fare del loro meglio per ottenere calzature decenti, ma invano. Non potevano permettersi di usare pellami morbidi e di prima scelta, tant’è che Ninuccia aveva seri dubbi che quella fabbrica avrebbe avuto vita lunga. Le scarpe, o meglio i contenitori per i piedi, così come li chiamava lei, erano noti a tutti come le “scarpe nzippate con i guarduncelli.”Scarpe di modestissima qualità, non adatte a persone raffinate di buon gusto, ma questo era tutto quello che per ora si poteva realizzare, nulla di più. A Fornasetti avrebbe pensato in tarda serata. Era ancora assorta nei suoi pensieri e sogni, dove si rivedeva pedalare con vigore alla Landus, quando all’improvviso si sentì tirare un braccio con fare discreto che la fece svegliare di soprassalto. ”Guarda che tra poco arriva il regionale per Cosenza, te lo sei forse dimenticata? Non vuoi più andare, laggiù?”(continua con il settimo capitolo)



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