Un film di mostri senza mostri? È quasi peggio di un whiskey maschio senza rischio! Eppure Monsters (2010), quinta opera del regista inglese Gareth Edwards, non è una pellicola propriamente da sottovalutare. O meglio, ci sono almeno due modi di affrontarla: il primo è dichiararsi indignati per la povertà dei mezzi e la promessa assolutamente non mantenuta dal titolo e dal trailer internazionale (uno s'aspetta qualcosa tipo Cloverfield moltiplicato all'ennesima potenza e invece si ritrova catapultato nel viaggio on the road tra le macerie di una coppia di giovani americani che cerca di fuggire dalla zona contaminata, mentre di mostri se ne vedono pochi, pochissimi, solo nel finale e anche lì piuttosto restii a scontrarsi preferendo amoreggiare e lisciarsi «poeticamente» i titanici tentacoli fosforosi). L'altro è mettersi comodi e godersi la sfacciataggine di un autore che t'invita a casa per farti vedere la sua nuova play-station e invece ti mostra a sorpresa una lampada antica, vecchia come il cucco e un po' decadente, che però quando l'accendi emana una luce ipnotica e terribilmente affascinate. Entrambi i metodi hanno una loro ragion d'essere. Da queste parti, in ragione del più ingenuo amore per la Settima Arte (o forse in disprezzo della stessa) si è deciso di adottare il secondo. Ed allora ecco una rapida disamina dell'opera: la sceneggiatura sembra aver pescato un po' da District 9 e un po' da Jurassik Park: con la sonda spaziale alla ricerca di nuove forme di vita extraterrestre che ritorna dalla sua
Un film di mostri senza mostri? È quasi peggio di un whiskey maschio senza rischio! Eppure Monsters (2010), quinta opera del regista inglese Gareth Edwards, non è una pellicola propriamente da sottovalutare. O meglio, ci sono almeno due modi di affrontarla: il primo è dichiararsi indignati per la povertà dei mezzi e la promessa assolutamente non mantenuta dal titolo e dal trailer internazionale (uno s'aspetta qualcosa tipo Cloverfield moltiplicato all'ennesima potenza e invece si ritrova catapultato nel viaggio on the road tra le macerie di una coppia di giovani americani che cerca di fuggire dalla zona contaminata, mentre di mostri se ne vedono pochi, pochissimi, solo nel finale e anche lì piuttosto restii a scontrarsi preferendo amoreggiare e lisciarsi «poeticamente» i titanici tentacoli fosforosi). L'altro è mettersi comodi e godersi la sfacciataggine di un autore che t'invita a casa per farti vedere la sua nuova play-station e invece ti mostra a sorpresa una lampada antica, vecchia come il cucco e un po' decadente, che però quando l'accendi emana una luce ipnotica e terribilmente affascinate. Entrambi i metodi hanno una loro ragion d'essere. Da queste parti, in ragione del più ingenuo amore per la Settima Arte (o forse in disprezzo della stessa) si è deciso di adottare il secondo. Ed allora ecco una rapida disamina dell'opera: la sceneggiatura sembra aver pescato un po' da District 9 e un po' da Jurassik Park: con la sonda spaziale alla ricerca di nuove forme di vita extraterrestre che ritorna dalla sua
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