Ancora oggi la Johnson è l'unica donna a guidare uno stato africano (da qualche mese un'altra donna, in Mali, guida il governo) è sostenuta dall'amministrazione americana (è un'economista e per anni ha lavorato presso la Banca Mondiale) che non ha mai nascosto il desiderio di verderla riconfermata alla guida del paese.
(Ecco un ritratto della Johnson sui giornali americani).
Il suo principale sfidante è l'ex calciatore del Milan George Weah, candidato del Congress of Democratic Change.(Per un approfondimento sulle elezioni in Liberia vi rimando a questo articolo di Fulvio Beltrami).
Cosa accadrebbe se qualche giorno prima delle elezioni in Italia fosse assegnato il Premio Nobel per la Pace al nostro Presidente del Consiglio? Naturalmente lo stesso quesito vale anche per altri Paesi del cosiddetto mondo emancipato e civile.
Sulla Johnson pende inoltre il sospetto sul suo iniziale appoggio al regime di Charles Taylor, poi ritirato, ma che anche la recente commissione d'inchiesta sulla guerra civile in Liberia, non ha potuto che sottolineare.
Il Premio alla Johnson rischia di trasformarsi in un elemento di tensione, a pochi giorni dal voto, e getta sicuramente l'ennesima ombra (il caso Obama lo ricordiamo tutti) sulle scelte che il Comitato del Premio Nobel ha fatto e sull'imparzialità del premio stesso.
La sensazione è che il Premio rappresenti una pesante ingerenza nella difficile vita politica della Liberia. Inoltre, nel tentativo di accontentare tutti, si è fatto "un papocchio", che mette insieme una candidata presidente, un'artefice del processo di Pace liberiano (purtroppo rimbalzata nelle cronache del nostro paese più per la proclamazione dello "sciopero del sesso" che per altri meriti che indubbiamente ha) e una protogonista di una delle "rivolte arabe" ancora lontana da trovare soluzioni degne di questo nome.
Si sono mescolate le leggitime aspettative di chi proponeva l'insieme delle donne africane (anche e soprattutto quelle che quotidianamente si sobbarcano l'enorme lavoro di essere donna in Africa, oltre che quello di elemento di stabilizzazione dei processi sociali complessi) con le donne delle rivolte arabe (la Karman ha infatti immediamente dedicato a tutte le donne delle rivolte arabe il suo Nobel), scegliendone una (sicuramente di grande valore) tra le tante.
Insomma un tentativo politico-diplomatico di equilibrio che francamente lascia l'amaro in bocca e rischia di scontentare tutti.
Ripeto questo senza nulla togliere al valore delle premiate, al ruolo delle donne nel mondo (in tutto il mondo e non solo in Liberia e Yemen) e al grande contributo che esse danno allo crescita e allo sviluppo democratico.