Nel XVI secolo il Giappone vede ergersi un uomo, Oda Nobunaga, intenzionato a riportare all’unità un paese devastato dalla guerra civile
È passato quasi un secolo dall’inizio della grande guerra civile che vede i daimyō, i nobili che governano le regioni in cui è diviso il Giappone, attaccarsi, tradirsi e corrompersi pur di riuscire a conquistare i territori dei propri vicini. Una guerra così brutale da aver ridotto il numero dei clan da circa 300 ad una ventina scarsa. In questo periodo storico, conosciuto con il nome di Sengoku jidai (1467-1603), l’imperatore è una figura quasi completamente priva di potere politico e lo shōgun, il capo assoluto dell’esercito, colui che dovrebbe tenere in ordine il paese, è l’unico elemento che impedisce ai daimyō di prendere il potere assoluto, conquistando Kyōto, la capitale.
In questo grande caos, però, nascono le leggende più celebri della storia giapponese. Individui che, per le loro gesta, sembrano usciti da un qualche racconto di fantasia, eroi che ritroviamo spesso anche nella cultura contemporanea. Uno di questi, Nobunaga del clan degli Oda, è stato il fautore del processo che ha portato alla riunificazione del Giappone e alla fine del Sengoku jidai. Tuttavia, Nobunaga viene ricordato come un demone, come un figlio degli inferi, non come un salvatore. Come il Faust di Goethe, questo personaggio ha venduto l’anima e l’onore per vedere realizzato il proprio sogno.
La divisone territoriale del Giappone centrale intorno all’anno 1560, nel pieno del Sengoku jidai
L’ascesa di Nobunaga
Nobunaga, figlio di Nobuhide, daimyō del clan degli Oda, si fa notare sin da piccolo per il suo temperamento focoso e impulsivo. Il ragazzo è così ribelle e difficile da gestire da costringere il suo saggio mentore ad uccidersi tramite seppuku, la cerimonia del taglio del ventre. Alla morte del padre scoppia una guerra interdinastica, evento tipico nel Giappone feudale. Nobunaga è costretto ad uccidere prima lo zio e poi il fratello per ottenere il controllo sul clan, e già in questo periodo dimostra incredibili capacità tattiche in battaglia. Tuttavia, il fatto di essere divenuto daimyō lo porta ad affrontare una situazione piuttosto complicata: nel 1560, Imagawa Yoshimoto, daimyō del vicino clan Imagawa, forte anche di un’alleanza con il clan Matsudaira (conosciuto più avanti col nome di Tokugawa), decide che è giunta l’ora di conquistare il titolo di shōgun e marcia verso Kyōto alla testa di 25000 uomini. Il percorso scelto lo costringe a passare proprio nel territorio degli Oda, nemici storici del suo clan. Nobunaga, spinto da un innato coraggio, o semplicemente dal caratteraccio che l’aveva già reso celebre, decide di fermare l’impresa di Yoshimoto con un’effimera forza di 2500 uomini. Sfruttando il territorio, il clima e l’effetto sorpresa, il giovane daimyō assalta nella notte gli Imagawa, che si erano accampati in una gola e, in quella che verrà ricordata come battaglia di Okehazama, trionfa a mani basse. Non appena Yoshimoto viene ucciso, i suoi soldati si arrendono e si uniscono alle forze degli Oda. Il clan Imagawa, senza più un daimyō e un esercito, scompare per sempre. L’eco di questa vittoria riecheggia per tutto il Giappone e Ieyasu, daimyō dei Matsudaira, decide di stringere un’alleanza con Nobunaga. Un’alleanza importantissima, che porterà questi due personaggi a diventare le leggende che ricordiamo, perché, in un’epoca di tradimenti come il Sengoku jidai, avere un alleato ed un amico è forse la cosa più importante cui si possa aspirare.
La presa di Kyoto
Ritratto di Oda Nobunaga eseguito dal gesuita missionario italiano Giovanni Niccolò
Fino a questo momento, la preoccupazione di Nobunaga, che gli ha impedito di volgere gli occhi verso Kyōto, è stata il fatto che il suo clan non potesse competere militarmente con quelli ben più grandi e potenti a Ovest, come gli Uesugi, i Takeda e gli Hōjō. Questi clan erano abbastanza forti da poter spodestare lo shōgun da soli, ma nel caso in cui uno di essi avesse deciso di mobilitare le proprie truppe verso la capitale, gli altri due ne avrebbero approfittato per invadere i suoi territori: per questa ragione nessuno dei clan si azzardava a muoversi. L’alleanza con Ieyasu, tuttavia, fornisce a Nobunaga quella sicurezza che gli permette finalmente di pianificare un’invasione della capitale. Due sono i clan che separano gli Oda da Kyōto: gli Azai e i Saito. Nobunaga sposa la sorella del daimyō Azai, garantendosi un nuovo alleato, e intraprende rapporti diplomatici con i Saito. Improvvisamente però, il daimyō dei Saito viene assassinato dal figlio, assolutamente non intenzionato a vedere lo shōgunato nelle mani degli Oda. Da qui, scoppia l’ennesima guerra. È in questo conflitto che si distingue un contadino, divenuto porta-sandali di Nobunaga, conosciuto con il nome di Toyotomi Hideyoshi, altro personaggio leggendario della storia giapponese. Le sue capacità coercitive vengono notate dal daimyō, che gli garantisce una maggiore libertà d’azione: nel giro di qualche settimana Hideyoshi convince la maggior parte dei comandanti dei Saito a cambiare schieramento. La leggenda narra che, per catturare l’ultima inespugnabile fortezza dei Saito, Hideyoshi abbia fatto costruire una fortezza altrettanto grande nel giro di una sola notte, proprio di fronte a quella dei nemici. Le truppe di Nobunaga, meravigliate da una tale impresa e forti di una base così avanzata nel territorio nemico, ci misero poco a catturare il daimyō nemico e a porre fine al suo clan. Come ricompensa per la sua genialità, Hideyoshi viene nominato governatore di questa regione: il primo contadino ad aver mai ottenuto una simile carica in Giappone.
Ora nulla può fermare Nobunaga dall’avanzata su Kyōto, se non una piccola, ma importante, formalità: serve una giustificazione riconosciuta da tutti gli altri daimyō per poter spodestare lo shōgun. Questa giustificazione piomba un giorno dal cielo con il nome di Ashikaga Yoshiaki. Yoshiaki si presenta a Nobunaga spiegandogli che, essendo fratello dello shōgun da poco deceduto, ha il diritto di spodestare lo shōgun fantoccio che in quel momento sta governando il paese: così, a Nobunaga giunge una formale richiesta d’aiuto. D’altronde lo shōgunato è, almeno in teoria, ereditario. Finalmente legittimato, Oda Nobunaga marcia su Kyōto e, senza troppi sforzi, scaccia il clan Miyoshi, che aveva occupato la città in precedenza. Il suo grande disegno inizia a vedere una realizzazione.
L’esilio di Yoshiaki
Come già detto in precedenza, Nobunaga ha grandi ambizioni e un carattere piuttosto irascibile: i suoi piani non prevedono Yoshiaki come shōgun, ma egli stesso desidera assumere la carica. Questo lo porta ad iniziare un gioco di intrighi per cercare di spodestare Ashikaga dal trono. Allo stesso tempo Yoshiaki, temendo Nobunaga, cerca in tutti i modi di trovare alleati per togliere di mezzo questo scomodo vicino. La situazione si sblocca nel momento in cui il daimyō del clan Asakura, conscio degli intrighi di Nobunaga, si rifiuta di partecipare ad una cena a cui erano invitati tutti i daimyō vicini a Kyōto. Dal momento che l’invito era ufficialmente partito da Yoshiaki, Nobunaga ottiene la giustificazione per poter dichiarare guerra. Senza battere ciglio, raduna le proprie truppe e invade gli Asakura, passando, lungo il percorso, nei territori degli Azai. Gli Azai, nonostante i legami famigliari con Nobunaga, scelgono inaspettatamente di tradirlo e di schierarsi con gli Asakura, attaccando le truppe di degli Oda. Nobunaga, schiacciato fra due nemici, decide di abbandonare il proprio esercito al suo destino e fugge verso Kyōto con un manipolo di fedelissimi, macchiandosi di disonore e rischiando di venire ucciso da un ninja durante la rotta. È infatti tradizione per i samurai, in queste situazioni, combattere fino alla morte o arrendersi e praticare seppuku. La rabbia di Nobunaga per il tradimento diventa a questo punto leggendaria. Chiede immediatamente supporto a Ieyasu e insieme sconfiggono la coalizione Asakura-Azai nella battaglia di Anegawa (1570).
Ma le truppe degli Oda sono in pessime condizioni e sono demoralizzate dal comportamento disonorevole del loro comandante. Di ciò si accorge il daimyō del clan Miyoshi, scacciato da Kyōto con l’arrivo di Yoshiaki e di Nobunaga. Questi, alleatosi con gli Ikkō-Ikki, i monaci guerrieri buddisti che vivevano nei diversi templi dislocati intorno a Kyōto e nella regione di Kaga, si ribella allo shōgunato. Nobunaga, ancora irato per le incontrollabili ribellioni, pone sotto assedio il tempio-fortezza di Ishiyama Hongan-ji, un assedio che durerà ben 11 anni, il più lungo mai sostenuto in Giappone. I monaci guerrieri infatti dimostreranno di essere dei combattenti formidabili, tanto da far tremare anche i samurai più valorosi. La loro combinazione di maestria con le armi bianche e di tattica basata sull’uso del moschetto a miccia li rende devastanti. Nobunaga se ne rende conto a caro prezzo e, per evitare di perdere altri uomini durante l’assalto del tempio di Hiei, proprio nei pressi di Kyōto, dà fuoco agli alberi che si trovano intorno ad esso, incendiando di conseguenza l’intero complesso. Sono circa 20000 le vittime, fra cui numerosissimi i bambini e le donne. Questo gesto, insieme alla – seppur geniale – furia cieca che ha spesso guidato le sue azioni, hanno portato a ricordare Oda Nobunaga più come un oni, un demone, che come un eroe.
Lo shōgun Yoshiaki, terrorizzato dalla ferocia di questo guerriero inarrestabile, chiede aiuto a Takeda Shingen, leggendario daimyō del clan Takeda, inventore della carica di cavalleria in Giappone. Shingen parte con un ingente armata, sconfiggendo lungo il percorso anche Tokugawa Ieyasu nella celeberrima battaglia di Mikatagahara (1573) e affrontando il ninja Hattori Hanzo, ma muore per un colpo di moschetto durante un assedio minore e il suo clan si ritira. Due anni dopo ci riprova suo figlio, Takeda Katsuyori, ma la sua inettitudine strategica lo porta alla più grande sconfitta che i Takeda abbiano mai subito: le sue perdite nella battaglia di Nagashino sono così gravi da causare la scomparsa dell’intero clan. Un altro guerriero leggendario, Uesugi Kenshin, visto all’epoca come vero e proprio dio della guerra, daimyō del grande clan Uesugi, tenterà di marciare su Kyōto, ma anch’egli morirà prematuramente, probabilmente a causa di un tumore.
Dopo gli eventi del clan Takeda, Yoshiaki non può più nascondere la propria colpevolezza e Nobunaga lo esilia, assumendo finalmente il titolo di shōgun.
Il tradimento
Un generale sprona le truppe di Tokugawa all’assalto
La situazione sembra giungere alla stabilità. Kyōto è in mano ad un personaggio capace e forte. I territori intorno alla capitale sono stati pacificati, o sono in procinto di esserlo. Nobunaga si sente al sicuro sapendo di avere un amico come Ieyasu al proprio fianco. Forse il Sengoku jidai sta davvero giungendo al termine, l’unità del paese non è più solo un sogno. Ma accade qualcosa che il signore degli Oda non si aspetta. Hideyoshi, il contadino divenuto governatore, impegnato in questo periodo a sottomettere il clan Mori, chiede rinforzi al suo signore per conquistare un castello nemico. Nobunaga, dopo aver radunato l’esercito sotto la guida di Akechi Mitsuhide, un suo generale, parte per raggiungere Hideyoshi. Lungo la strada decide di fermarsi per un giorno a Kyōto. Sapendo che ormai la città è sicura e nelle sue mani, si dirige al tempio di Honnō-ji con una scorta molto esigua, per rendere omaggio ai kami, gli dei. Ma nel pieno della notte del 21 Giugno 1582, Mitsuhide tenta il colpo di stato: dà ai suoi uomini il comando di dar fuoco al tempio, proprio come aveva fatto Nobunaga a Hiei, gridando che al suo interno si trovano dei nemici dell’imperatore. I soldati irrompono nel tempio, uccidendo chiunque trovino sulla loro strada. Così la scorta di Nobunaga viene trucidata e probabilmente egli stesso muore in quel massacro, sebbene il suo corpo non sia mai stato ritrovato.
L’eredità del demone
Non appena giunge la notizia della morte del suo comandante, Hideyoshi si precipita a Kyōto, dove intanto Akechi Mitsuhide sta cercando di ottenere consensi per farsi riconoscere come nuovo shōgun. Mitsuhide e Hideyoshi si affrontano in battaglia e quest’ultimo ha la meglio, ponendo fine ad uno dei più brevi shōgunati che la storia ricordi - durato soltanto tre giorni. Essendo di umilissime origini, Toyotomi Hideyoshi non verrà mai riconosciuto ufficialmente come shōgun dall’imperatore, ma lo diventerà comunque de facto. L’eredità lasciata dal suo signore gli permetterà di consolidare l’unità territoriale sulla regione centrale del Giappone, di riformare il sistema fiscale, quello militare e quello gerarchico. Le sue riforme funzioneranno così bene da rimanere in vigore fino al 1871. Infine Hideyoshi tenterà di dimostrare la forza militare del Giappone invadendo la Corea, in un’impresa che si rivelerà fallimentare, ma che avrebbe sicuramente reso fiero il demone del Sengoku jidai. Pochi anni più tardi Tokugawa Ieyasu, l’amico più fedele di Oda Nobunaga, diventerà a sua volta shōgun e porrà fine una volta per tutte a questo lungo periodo di guerra civile.
La tomba di Oda Nobunaga sul monte Koya
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