“Mi resi conto che non esiste una reale e oggettiva separazione tra suono e silenzio, ma soltanto tra l’intenzione di ascoltare e quella di non farlo.” – John Cage
“È uno strumento antico di almeno 3000 anni di storia. È uno strumento a tre canne, una produce un suono continuo, fisso e le altre sono due canne melodiche. Si suona con fiato continuo però si possono effettuare tutte le articolazioni e si ha la possibilità grazie alla presenza de l’arrefinu, uno strumento che permette staccato, legato e tutte le articolazioni possibili ed immaginabili.”
Con queste parole il docente di musica Giuseppe Orrù apre il documentario “Nodas. Launeddas in tempus de crisi” diretto da Andrea Mura e da Umberto Cao.
“Nodas” è ambiento in Sardegna, una terra nella quale il suono ed il silenzio si sono amalgamati per millenni, tanto da mostrar oggi piccoli indizi di un’antichissima cultura mediterranea. Le launeddas, da strumento in via di estinzione negli anni cinquanta, diventano oggetto di indagine e riscoperta ma non solo, infatti, grazie alle nuove generazioni dei suonatori si è intrapresa la via della sperimentazione sonora.
Ringrazio Andrea Mura, Umberto Cao e Massimo Congiu per questa singolare chiacchierata sulle affascinanti launeddas e sulle problematiche sarde.
Ed ora gustatevi questa breve (?) intervista e se ne avete l’occasione non perdetevi la visione di “Nodas. Launeddas in tempus de crisi”.
A.M.: Estrai da un’immaginaria sfera un ricordo della tua infanzia.
Andrea Mura: È una domanda un po’ intima e difficile, ma cercherò di risponderti. Il primo ricordo che mi viene in mente risale all’età di dieci anni, quando mi divertivo a inventare giochi, realizzati con pezzi di legno di scarto della casa dei miei genitori in costruzione, a cui giocavo tutto solo, inventando battaglie e interpretando diversi ruoli in contrapposizione tra loro. Detta così potrebbe apparire un passatempo monotono, ma io ricordo che passavo interi pomeriggi così, divertendomi un sacco.
Umberto Cao: Infanzia? Mi gioco subito una citazione: “Sono stato ragazzo per qualche settimana, un paio di volte, d’estate. Per tutto il frattempo si era adulti involontari.” Erri de Luca, “Il contrario di uno”.
Massimo Congiu: Un ricordo… sì! Mi viene in mente il 1999, l’anno in cui ho suonato per la prima volta al Festival Jazz di Sant’Anna Arresi. È stato un anno di studio pazzo e spericolato fianco a fianco con il mio maestro Carlo Mariani che scendeva costantemente da Cave (Roma), culminato con il periodo estivo molto intenso farcito di launeddas e “jazz” … questa strana nuova parola che scombinava tutte le mie sicurezze ritmiche tradizionali e allargava incessantemente il potenziale spazio di azione delle mie launeddas. Incontri emozionanti e crescita musicale incalzante grazie a giorni intensissimi di prove con tutti i musicisti dell’orchestra “Le Lunghe Canne” come Michel Godard, Massimo Nardi, Sandro Satta, Paolo Damiani ecc.. tutti molto molto forti!!!
A.M.: “Nodas. Launeddas in tempus de crisi” è stato presentato il 10 aprile a Cagliari presso la Cineteca sarda. Com’è stata la prima?
Andrea Mura: La presentazione del 10 aprile alla Cineteca Sarda è stata la prima assoluta di Nodas; ci andava di presentarlo in una sede prestigiosa per il cinema in Sardegna e abbiamo avuto un’ottima ospitalità da parte dello staff della Cineteca. Vista la grande affluenza di pubblico abbiamo dovuto programmare una seconda proiezione a seguire, che è stata riempita in poco tempo. Ci ha fatto molto piacere questa risposta calorosa e partecipata del pubblico, dopo aver lavorato tanto alla realizzazione del film credo sia la più bella ricompensa che potessimo ricevere. La serata è stata poi accompagnata, in apertura e chiusura, da una suonata di launeddas eseguita da alcuni dei protagonisti del film: Graziano Montisci, Gianluca Piras, Massimo Congiu e Michele Deiana. Alla fine di ciascuna proiezione c’è stato un lungo e vivace dibattito, a testimonianza che le tematiche toccate da Nodas sono molto attuali e sentite a livello collettivo.
Umberto Cao: La Cineteca sarda è un piccolo salotto del cinema a Cagliari, in cui respiri un po’ l’atmosfera magica del cinema e soprattutto, che rende la cultura cinematografica e visuale realmente avvicinabile e accessibile a tutti. La serata in sé poi, è stata molto bella. Le due proiezioni hanno visto un totale di 250 persone circa, tra posti a sedere, posti in piedi, accovacciati, sdraiati, a testa in giù, etc. Siamo stati onorati della presenza e delle presentazioni di Peppetto Pilleri, anima della Cineteca, e di Gianni Olla, mostro sacro della critica cinematografica: già il fatto che nessuno dei due abbia massacrato il film, è stata una prova del fuoco non da poco. Sin dalle proiezioni “di prova” durante il montaggio, con amici e parenti come “cavie”, sapevamo che questo film al di là che piaccia o no e che i contenuti interessino o meno, non lascia indifferenti e spesso suscita reazioni che stimolano vivi dibattiti. È andata così anche alla prima. Dopo la prima proiezione, c’è stato un confronto vivissimo sugli aspetti educativi, sulla presenza/assenza della cultura locale nel sistema scolastico e sulla famigerata retorica del “glocal” (il «think global and act local» che fa rabbrividire gli antropologi..); in coda alla seconda proiezione invece, sono state toccate questioni più legate alla situazione socio-economica della Sardegna. Tutti aspetti – sia gli uni che gli altri – sui quali il film fornisce degli stimoli, e che poi possono essere colti e sviluppati o meno, a seconda del pubblico. Il tutto è stato condito da introduzioni e intermezzi musicali dei nostri talentuosi protagonisti, che con le loro launeddas, hanno dispensato note ed emozioni capaci di commuovere più d’uno in sala.
Massimo Congiu: È stata una bella presentazione! Le persone che sono venute alla prima proiezione, escludendo gli addetti ai lavori, erano tante… forse troppe per la cineteca…ma sicuramente tutte molto interessate e curiose di scoprire il lavoro di Andrea e Umberto e magari son venute anche per capirci qualcosa di più del mondo dei giovani suonatori e farsi almeno un’idea delle launeddas al di fuori dei soliti contesti ed occasioni di consumo della tradizione in passerella… Insomma visi contenti di aver visto e sentito le emozioni ed i pensieri delle diverse menti dietro questo strumento dal vecchio profumo molto nostro.
A.M.: Come nasce il progetto di documentario Nodas? È un progetto low budget oppure ha ricevuto qualche finanziamento?
Andrea Mura: Il docu-film Nodas ha preso avvio da un’idea di Dante Olianas, presidente dell’associazione Iscandula, impegnata da anni nella valorizzazione e divulgazione delle launeddas, che ha commissionato a me, come filmaker, e all’antropologo Umberto Cao, la realizzazione del film. L’idea che ci è stata proposta in partenza verteva sui giovani suonatori di launeddas e la problematica della dispersione scolastica, che in Sardegna ha dei numeri record rispetto al resto d’Italia. Dopo aver effettuato le prime riprese con alcuni giovani suonatori ed esperti di musica tradizionale, io e Umberto ci siamo resi conto che ci interessava fare un film con una prospettiva più ampia, che tenesse conto delle varie sfaccettature e tematiche che stavano emergendo man mano: dal rapporto delle launeddas col mondo globalizzato alle problematiche lavorative, dai diversi approcci alla musica alle prospettive future dei giovani suonatori. Così dopo più di un anno di gestazione, ovviamente con delle pause in cui ognuno di noi ha fatto altri lavori, è nato “Nodas, launeddas in tempus de crisi”. Sicuramente si poteva andare più a fondo ad ognuna delle tematiche affrontate, se avessimo avuto a disposizione un budget più adeguato, però ritengo che il risultato ottenuto sia dignitoso, sia dal punto di vista formale che sostanziale. Si tratta di una produzione assolutamente low budget, sostenuta fin dove possibile dall’Associazione Iscandula, e che cerca a tutt’oggi sostegno dalle istituzioni per la distribuzione.
Umberto Cao: Entrambe le cose e non solo! Ovvero, è un progetto low budget, che contava su un finanziamento proveniente della Regione Sardegna (nell’ambito della legge 14) e che poi – per non farci mancare niente – è rimasto senza finanziamento. L’Associazione Iscandula – produttrice del film – ha comunque onorato con grande sacrificio ed encomiabile coerenza, l’impegno preso nei confronti del progetto. E quindi stringendo i denti e facendo fronte comune tra produzione, registi e protagonisti, siamo riusciti a condurre il film in porto. Rispetto alla genesi del progetto, Dante Olianas, mitico presidente di Iscandula (con gli ultimi quarant’anni della sua vita dedicati alla cultura sarda in genere e alle launeddas in particolare), con occhio da insegnante ha riscontrato un piccolo paradosso. Ovvero, eccellenti giovani suonatori di launeddas hanno spesso incontrato grandissime difficoltà nella propria carriera scolastica, che in molti casi hanno portato all’abbandono anzitempo della scuola secondaria, senza il raggiungimento del diploma. Il paradosso risiederebbe proprio nel fatto che al di fuori della scuola questi ragazzi si rivelano essere alacri studenti, con lunghe ore di studio e sacrificio quotidianamente dedicate alla musica, ma anche, in possesso di alcune abilità e competenze prossime a quelle dei ricercatori scientifici: a certi livelli infatti, lo studio delle launeddas richiede la capacità di reperire fonti di non facile accesso e fruibilità (si pensi alle rare registrazioni audio degli antichi maestri del secolo scorso), di analizzare e comparare informazioni e dati di varia natura (teorici e tecnici, ma anche pedagogici, storici, antropologici), nonché di vagliare “i dati” attraverso la pratica (sullo strumento) e il confronto con i colleghi suonatori. Com’è possibile che adolescenti dotati di skills non esattamente comuni in quella fascia di età, risultino (troppo) spesso “non funzionanti” nel sistema scolastico formale? E se poi si aggiunge che la Sardegna, con i suoi 26 “abbandonatori di scuola anzitempo” (ESL- Early School Leavers) ogni 100 (vd. Focus MIUR “La dispersione scolastica” – 2013), si colloca al primo posto non solo in Italia ma anche in Europa quanto ad abbandono scolastico, allora viene da pensare che quello dei “nostri” suonatori di launeddas non sia un puro caso, ma sia parte di un più ampio fenomeno a carattere sistemico. E di conseguenza, viene naturale chiedersi dove stia il problema. Il nostro film dunque è una ricerca di antropologia in chiave visuale, che ha preso il largo da questo fatto sociale. Poi l’analisi si è via via sviluppata – il periodo di lavorazione del film è di oltre un anno – e arricchita di tutta una serie di aspetti ed elementi che caratterizzano la realtà dei nostri giovani musicisti, non necessariamente legati alla considerazione di partenza.
A.M.: Negli ultimi anni, in Sardegna c’è stata una rinascita dell’antico strumento anche grazie agli studi dell’etnomusicologo danese Andreas Fridolin Weis Bentzon. È stato complesso selezionare protagonisti del documentario?
Andrea Mura: L’esperienza di Bentzon è stata certamente fondamentale per la tutela e la salvaguardia delle launeddas; quando venne in Sardegna, negli anni ’50, le launeddas erano in pieno declino, erano rimasti pochissimi suonatori; la grande competenza e devozione di Bentzon per lo studio delle launeddas ci hanno sicuramente consentito di conservarne la memoria e di riproporle alle nuove generazioni. In questi anni le launeddas stanno vivendo una nuova primavera, basti pensare che si contano più di trecento suonatori e varie scuole sparse nel territorio. La scelta dei protagonisti del documentario è, come ogni scelta, arbitraria e senza la pretesa di essere esaustiva; crediamo però di aver inserito nel nostro lavoro vari ritratti di giovani suonatori, anche molto diversi tra loro, che restituiscono allo spettatore la ricchezza e la varietà del panorama musicale attuale in Sardegna.
Umberto Cao: Quando Andreas Fridolin Weiss Bentzon realizza il suo studio sulle launeddas, tra il 1955 e la prima metà degli anni 60′, egli si rende conto di trovarsi al cospetto di una forma culturale artistica ad alto rischio di scomparsa, per una complessa trama di fattori che la rapida modernizzazione portava in seno. La sua urgenza di documentare e di salvaguardare il più possibile del patrimonio delle launeddas, è espressa nitidamente dalle parole nel 1958 che scrisse al maestro di launeddas Dionigi Burranca di Ortacesus: “Deve ricordarsi che queste cose devono rimanere eternamente come documenti sulla vita sarda, e quello che oggi è comune può meravigliare altre generazioni”. E in effetti, alla fine degli anni ’70 si è rischiato davvero grosso, con meno di venti persone in tutta la Sardegna (e dunque al mondo) capaci di suonare realmente (non semplicemente “soffiare”) le launeddas. Oggi invece, viviamo un momento di grande fioritura di quest’arte plurimillenaria, con un numero di suonatori – di ogni livello e grado – compreso tra i 250 e i 300 su tutta la Sardegna e qualcuno anche oltremare. Ma non solo. Si sono nuovamente raggiunte delle significative eccellenze artistiche da parte di giovani suonatori, eccellenze che sino a qualche tempo fa si pensava sarebbero scomparse con gli ultimi grandi maestri quali Aurelio Porcu e Luigi Lai (cui si augura ancora lunghissima vita). E in tutto ciò, le registrazioni, le trascrizioni, le spiegazioni, le fotografie e i filmati di Bentzon, hanno giocato un ruolo innegabile. La scelta dei protagonisti per il film, è stata molto naturale, direi. Abbiamo coinvolto cinque suonatori, sotto i 30 anni, con delle ottime qualità artistiche, che rappresentassero o meglio, che fossero “portatori” di differenti sfaccettature della realtà che intendevamo raccontare e possibilmente, che fossero legati tra loro da un rapporto di amicizia, o almeno che nella realtà si frequentassero e non fossero dei perfetti sconosciuti gli uni agli altri. Ho detto naturale come scelta, perché Massimo Congiu, Michele Deiana, Graziano Montisci, Gianluca Piras e Luca Schirru, sono anche le persone con cui sono entrato maggiormente in contatto e direi in confidenza, da quando ho iniziato a interessarmi di launeddas come antropologo, circa tre anni orsono. Per un antropologo, “l’accesso” alla realtà da raccontare è sempre un aspetto delicato e importante: quindi nel caso del film, ho potuto contare su un accesso privilegiato e agevolato. Per gli esperti che hanno preso parte al film poi, la scelta è caduta su coloro che a nostro parere offrissero le maggiori competenze su degli aspetti-chiave trattati dal film: Marco Rossi Doria, maestro di strada, sotto-segratario MIUR dal 2011 al 2014, massimo esperto in Italia e tra i più autorevoli al mondo, sulle questioni di abbandono scolastico e sulle politiche educative e sociali in genere; Giuseppe Orrù, musicista universalmente stimato in Sardegna suonatore di launeddas egli stesso nonché insegnante di scuola secondaria, per un punto di vista che unisse formazione musicale, formazione scolastica e apprendimento globale; Pitano Perra, costruttore e suonatore di launeddas (e non solo), esperto di archeomusicologia e archeofonia, al fine di avere una collocazione storica della realtà dei protagonisti.
Massimo Congiu: Sì, in questo momento storico ci sono tanti suonatori di launeddas molto preparati. Numerosi ragazzi che si sono avvicinati negli ultimi anni alle diverse scuole. Bentzon è stato, fortunatamente per noi sardi, l’elemento protettore di una ricchezza inestimabile che sarebbe andata persa, e allo stesso tempo, tassello di rigenerazione e collegamento tra generazioni molto distanti. Senza il suo immenso studio e la sua passione, noi molto probabilmente, non avremmo avuto modo di vivere e pensare di far crescere questa bellezza sonora. Ci dobbiamo svegliare molto, ci accorgiamo sempre in ritardo della ricchezza del nostro patrimonio, in questo caso le launeddas, ma il discorso è valido per tutto il contesto della nostra cultura fatta di cose materiali e immateriali.
A.M.: Che futuro ha il suonatore di Launeddas?
Andrea Mura: Non ho doti da veggente per rispondere a questa domanda, ma in base a quello che sta succedendo oggi, con una rinascita di consapevolezza circa le potenzialità di questo antico strumento, credo che i futuri suonatori di launeddas potranno confrontarsi alla pari con i musicisti di qualsiasi altro strumento, in una prospettiva, come dice anche Marco Rossi Doria nel documentario, “glocal”, ossia con la consapevolezza delle proprie radici ma anche con un apertura al mondo, che si traduce in conoscenza del panorama musicale internazionale, conoscenza della musica e delle lingue straniere per poter comunicare e trasmettere la propria arte.
Umberto Cao: Bella domanda. A mio parere occorre allargare la questione, e chiedersi: che futuro ha in generale, un giovane sardo dotato di una significativa abilità di qualunque genere, di una specifica competenza e magari, di un talento non comune (quale è il caso di molti suonatori di launeddas e dei nostri stessi protagonisti)? Mi piacerebbe darti una bella risposta, ottimista e positiva. Dirti magari che la sua arte sicuramente verrà riconosciuta e apprezzata. Che le sue abilità saranno senz’altro valorizzate. Che il suo talento gli darà senz’altro un lavoro e un’esistenza che gli permetta di esprimerlo e di renderlo disponibile alla collettività. Ma purtroppo non credo che andrà così. Purtroppo viviamo in un sistema in cui si continua a credere che il futuro della Sardegna debba basarsi su politiche e scelte che già nel recente passato hanno fallito senza appello lasciando strascichi irreparabili nella società oltreché nell’ambiente. Di nuovo si punta sulla cementificazione, che ora sarà un successo perché oltre i 300 metri dalla costa; si rilancia l’industria chimica che è diventata “verde” e quindi per qualche vaga assonanza cromatica, dovrebbe rispettare l’ambiente; si assiste l’industria petrolifera 2.0, che anziché limitarsi a trasformare gli idrocarburi, vuole ora omaggiare la Sardegna di trivelle; i poligoni militari ora porteranno la ricchezza sinora mai arrivata, perché dotati di piani antincendio; etc. etc etc. Tutto ciò, anziché pensare un sistema socioeconomico che punti decisamente sulle peculiarità demoetnoantropologiche e sulle intelligenze della Sardegna (la cultura in tutte le sue forme e i suoi aspetti), sulla valorizzazione dal basso e intelligente del territorio e delle sue risorse (agricoltura e pastorizia certo, ma anche ripopolamento dell’entroterra, impiego delle campagne per attività socio-pedagogiche, etc.), su un modello di turismo realmente sostenibile e che lasci benessere sul territorio (per intenderci, non è il caso dei resort in riva al mare). Quindi, per chiudere la mia risposta, un giovane sardo capace come un suonatore di launeddas, restando in Sardegna avrà probabilmente un futuro in cui purtroppo le sue qualità specifiche potrebbero non avere il ruolo, il valore e/o l’espressione che meritano e in fin dei conti, potrebbero non essergli di alcun aiuto verso il raggiungimento di una dignitosa indipendenza economica e la realizzazione del proprio progetto di vita. E faccio un esempio pratico. Gianluca Piras, uno dei protagonisti del film che per vivere lavora come manovale (a grande scapito delle sue mani da suonatore) è stato qualche settimana fa all’University College di Dublino, per suonare a una conferenza dedicata alle launeddas. Ha stupito tutti al punto che la direttrice del dipartimento, gli ha proposto di tenere una cattedra sull’apprendimento delle launeddas. Nelle università sarde c’è la stessa apertura all’inclusione di e al coinvolgimento di attori socioculturali così capaci? Le istituzioni ai vari livelli hanno la stessa lungimiranza verso questi tipi di ricchezza culturale e umana? Non saprei.
Massimo Congiu: Penso ad un lungo futuro se penso ad un suonatore capace di parlare attraverso le launeddas diversi linguaggi. Penso ad un futuro breve se non avverrà un cambio di mentalità per chi vive i suoni delle launeddas. C’è futuro per le launeddas se la smettiamo con gelosie e provincialismi. Quando mi riferisco al parlare differenti linguaggi, non intendo la capacità di dialogo tra le differenti scuole di launeddas in Sardegna, ma intendo ritmi contemporanei, generi musicali in evoluzione e vivi perché vissuti nel contesto sociale odierno come tutti gli strumenti al mondo che hanno deciso di avere un seguito e continuare a scrivere la storia della musica.
A.M.: Andrea, recentemente un altro tuo progetto, “Ladiri”, è stato presentato come finalista alla sesta edizione dello Skepto International Film Festival di Cagliari riscuotendo anche un bel successo.
Andrea Mura: Ladiri, che in sardo significa mattone in terra cruda, è un cortometraggio documentario sulla tradizionale tipologia abitativa diffusa nel sud Sardegna, che risulta essere il patrimonio abitativo in terra cruda più vasto d’Europa con più di centomila unità. Facendo questo documentario ho poi scoperto che più di un terzo della popolazione mondiale abita in case fatte di terra, basta pensare al sud-America, all’Africa, all’India. In fondo, se ci riflettiamo un po’, la terra è l’elemento di più facile reperimento, economico e a kilometro 0 che si possa avere a disposizione. Tornando al film, Ladiri cerca di raccontare con le parole degli anziani, tutti ultra ottantenni del Medio Campidano, il mondo che sta dietro le case in terra: l’abilità costruttiva, le storie e i ricordi custoditi nelle case, le prospettive di utilizzo di questo patrimonio nel futuro. Il documentario ha avuto una buona circuitazione, festivaliera e non, e ha ricevuto diversi premi: miglior corto al concorso dell’Associazione Nazionale Città della Terra Cruda, un premio al Festival Life after oil e ora è arrivata la menzione speciale dello Skepto International Film Festival di Cagliari, che non può che farmi piacere. Dal documentario Ladiri è poi nato un progetto dal nome Archivio Terra Cruda, che mi sta portando in giro per l’Italia, negli oltre 40 comuni facenti parte dell’Associazione Nazionale Città della Terra Cruda, per raccontare, sempre attraverso gli anziani, le diverse tipologie architettoniche e con esse uno spaccato dell’Italia rurale del ‘900. Chi fosse interessato a visualizzare il progetto può farlo nel canale youtube dedicato.
Umberto Cao: Sì Ladiri è tra i lavori di Andrea uno di quelli che mi piace di più: tratta di una tematica importante quale quella della casa e di un arte che in Sardegna rischia l’estinzione, in modo fresco, efficace e stimolante. La sua presenza a questa sesta edizione di Skepto penso sia stata più che meritata, così come la menzione speciale che ha ricevuto. Peraltro quest’anno ho avuto finalmente la possibilità di vivere dall’inizio alla fine tutta la kermesse “skeptiana” e ne sono stato felicissimo. Ho trovato una bella atmosfera, a tratti spumeggiante, con un’alta qualità media dei lavori in concorso e alcune perle che hanno lasciato il segno: i primi che mi vengono in mente tra quelli che maggiormente mi hanno impressionato, i già noti “Tacco 12″ e “Pandas” e “Chiccher Ale”. Inoltre, abbiamo avuto la possibilità di confrontare il progetto “Nodas” con una serie di produttori presenti al festival e ci sono stati degli scambi davvero ricchi.
A.M.: Ed invece “Nodas” sarà presentato in qualche Festival?
Andrea Mura: La distribuzione di Nodas è appena iniziata, stiamo cercando di inviarlo ai Festival potenzialmente interessati a tematiche etno-musicali, antropologiche e non solo. Dopo la prima in Cineteca seguirà una proiezione in occasione de Sa die de sa Sardigna e a metà maggio lo proietteremo a Torino all’interno del Festival See You Sound, che sarà un occasione per confrontarci con il “continente”. Stiamo completando proprio in questi giorni i sottotitoli in inglese, in modo da poterlo presentare ad una platea internazionale.
Umberto Cao: Giusto la scorsa settimana, abbiamo avuto il piacere di vedere il film inserito nel programma de Sa Die de sa Sardigna appena conclusa. La Regione ha chiesto espressamente la presenza di Nodas, quindi questo ci fa ben sperare per le tematiche in esso trattate. E poi, siamo stati onorati di far parte di Antonio Pani e Paolo Carboni un programma che vedeva come solo altro film, Capo e Croce di che personalmente considero un lavoro di altissimo profilo artistico e sociale, che dice tanto sulla realtà sarda contemporanea e ogni sardo dovrebbe vedere. Dal 14 al 17 Maggio, saremo poi a Torino, per la prima edizione del Festival del Cinema Musicale, dove siamo in gara nella sezione “7 inch” dedicata ai cortometraggi. Dopodiché, abbiamo appena iniziato l’invio del film a tutti i festival cinematografici a carattere antropologico, musicale, sociale, artistico, mediterraneo e simili, che potrebbero fare al caso nostro. Faremo del nostro meglio perché “parli” al maggior numero di persone e nel suo piccolo possa contribuire a valorizzare le launeddas in tutta la loro ricchezza culturale e umana, smuovere se non qualche ingranaggio almeno qualche coscienza e magari, suscitare anche qualche emozione.
A.M.: Ritieni ci siano altre realtà della Sardegna alle quali si potrebbe dare visibilità?
Andrea Mura: Io credo che ci siano tante storie da raccontare, in Sardegna e altrove, ma bisogna dare dignità a chi ha voglia di raccontarle sostenendo il lavoro di chi fa cinema, al di là dei proclami elettorali. Mi sembra che in Sardegna ci sia un bel fermento in campo cinematografico, produzioni di buon livello qualitativo, ma manchi una visione dell’importanza strategica che il cinema potrebbe avere nell’economia sarda. Come dice il motto dell’Associazione Moviementu, che raggruppa gran parte degli operatori del settore cinematografico in Sardegna, “Il cinema è un’industria sostenibile” e per questo andrebbe tenuta nella giusta considerazione da chi ci governa.
Umberto Cao: Guarda ultimamente sono molto interessato dagli esempi di persone che si rimboccano le maniche e compiono scelte controcorrente, quali il rientrare in Sardegna dopo lunghi anni all’estero, lasciando posti di lavoro sicuri e carriere allettanti (agli occhi di molti), per mettersi in gioco nella propria terra, inventando qualcosa di utile per lei e reinventando se stessi. Allo stesso modo, mi hanno colpito molti casi di giovani con formazioni universitarie ed esperienze di varia natura, che decidono di ritornare alla campagna, di dedicarsi all’agricoltura e farne la propria professione. Facendole conoscere, queste storie potrebbero essere d’incoraggiamento per tanti altri che non vogliono rassegnarsi all’emigrazione forzata a Londra e in altri luoghi, per condurre delle esistenze spesso non esattamente gratificanti, oppure ad un restare in Sardegna frustrante e rassegnante. Ma anche, potrebbero mettere la pulce nell’orecchio di chi siede nelle sedi decisionali, affinché le istituzioni supportino, stimolino e facilitino questo genere d’iniziative, che sono win-win su tutti i fronti.
Massimo Congiu: La prima cosa che mi viene in mente è una immensa realtà, la più grande a cui dare prioritariamente visibilità, più grande di tutti i nuraghi, le domus de janas, i pozzi sacri e le bellezze naturalistiche messe assieme. Sto parlando dell’incapacità radicata nel non voler veramente valorizzare tutto ciò che abbiamo ereditato dalla natura e dal passaggio dei nostri antenati nostrani e stranieri, fatto di ingegno, sacrificio, amore e passione e mal protetto con dedizione come fosse l’ultima moda. Boom! L’isola è un qualcosa di esplosivo, magari dando maggiore visibilità ai nostri handicap spontanei (o indotti ??!!) del non saper gestire nulla di più di una neo-piazzetta…(che figata la piazzetta!), senza avere una benché minima visione di insieme della straordinarietà dell’organismo su cui viviamo e mal ci orientiamo. Sì, forse sarebbe il primo passo per poi poter mettere in evidenza pian piano i nostri profili migliori. E son tanti.
A.M.: Saluta con una citazione…
Andrea Mura: “Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e i filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea.” – Tiziano Terzani
Umberto Cao: L’ultima strofa di Invictus, di William Ernest Henley: “It matters not how strait the gate,/ How charged with punishments the scroll, / I am the master of my fate: / I am the captain of my soul.”
Buona!
Massimo Congiu: “La tradizione è la componente statica della cultura; per esserci evoluzione la tradizione deve essere progressivamente superata.” – Carl William Brown
Buon viaggio a tutti noi!
Info