Quando mi hanno consigliato di vedere questo film non ero sicuro fosse una buona idea perché di solito basta il genere per spaventarmi: teen commedy o, peggio ancora, teen drama. Sta di fatto che questo The Perks of Being a Wallflower non mi ispirava molto anzi, per niente. Però quando chi è degno di fiducia o chi mi conosce bene mi consiglia un film (grazie Silvia, grazie Roberto), io lo guardo. In fondo sono un inguaribile romantico. E posso dire che mai come questa volta ho fatto bene, perché The Perks of Being a Wallflower è un film splendido che mi è esploso dentro continuando a farmi vibrare anche molto tempo dopo la fine della visione.
Anni '90: Charlie è un timido adolescente al primo anno di liceo. Il suo carattere e alcuni traumi del passato non gli permettono di socializzare facilmente, ma per fortuna Charlie incontra Sam e Patrick, studenti all'ultimo anno che gli permettono di entrare nel loro gruppo sgangherato. Sarà proprio questa amicizia e l'incontro con un professore con la P maiuscola a permettere al ragazzo di affrontare gli oscuri fantasmi del proprio passato. E del futuro.
Giovani ragazzi americani. Non i più fighi, non nerd irrecuperabili. Semplicemente ragazzi, ai margini per via di una personalità che non scende a compromessi con il conformismo, alla ricerca di un'identità che devono solo avere il coraggio di accettare. Questi sono i protagonisti di Noi Siamo Infinito, commedia romantica che non ha paura di sporcarsi con le tinte fosche del dramma adolescenziale.
Alla regia Stephen Chbosky, che esordì nel lontano 1995 e che poi si dedicò prevalentemente alla scrittura di sceneggiature e romanzi, tra cui quello epistolare omonimo da cui ha tratto il suo secondo e ultimo lavoro. Uno che ha ben chiari i meccanismi televisivi e cinematografici (ha scritto Rent e alcuni episodi della serie tv Jericho) di cui si appropria senza per questo cadere nella trappola hollywoodiana del "sentimentalismo". Perché Noi Siamo Infinito è una malinconica rappresentazione generazionale che va oltre le generazioni e le banali psicologie di gruppo, che si concentra sulla figura dell'adolesciente e sulle sue problematiche: amicizia, amore, famiglia, il dramma della morte, del sesso, la musica, le droghe. Il futuro.
Siamo all'inizio degli anni '90, ma potremmo essere benissimo in qualunque altra decade. Nel film non ci sono vere e proprie coordinate temporali se non quelle dettate dallo stile e dalle play-list musicali, gli Smiths come mito alternative ma anche il contemporaneo punk/grunge di Seattle o la new-wave. A Chbosky non interessa definire i limiti temporali in cui i suoi personaggi si muovono, la storia che racconta potrebbe essere quella di una generazione qualsiasi. Anche il passato e il futuro di Charlie, Sam e tutti i loro amici ha motivo di esistere solo in funzione del presente in cui loro vivono. E tra quello di tutti solo il vissuto di Charlie ci viene sviscerato mentre egli stesso ne prende coscienza: sconvolgente, duro, crudele. Infondo lui è il ragazzo da parete che si butta in pista, il protagonista, il narratore "ideale" che ci permette di scoprire quel mondo in cui sia lui che noi ci siamo trovati catapultati.E allora entriamo nel film e lo viviamo: all'inizio siamo solo l'anonimo personaggio a cui Charlie scrive ma poi, via via che i minuti passano, diveniamo parte di quel qualcosa che scorre sullo schermo. Immersi nella storia, membri della comitiva, pure noi con qualcosa di rotto dentro che dobbiamo (ri)costruire, scegliendo il presente come nuovo punto di partenza. Per divenire quello che vogliamo. Potremmo essere qualunque cosa in fondo, perché dentro di noi abbiamo tutto, persino l'infinito.
Se il punto di partenza è la solitudine, quello di arrivo è il modo per sconfiggerla, la scoperta che ci si può curare da questo "mal di vivere" relazionandosi con il prossimo fino a comprendere se stessi. L'amicizia come cura a una vita che è dramma e poesia. Ma al di là del tema poco originale, Noi Siamo Infinito non è il solito film. E' speciale. Ti scalda il cuore e te lo stritola, ti fa ridere e venire gli occhi lucidi, un ricordo lontano che torna alla memoria e ha il sapore della nostalgia e del rimpianto. E poi, dopo che è finito, ne senti la mancanza, scopri un nodo dentro, da qualche parte tra il petto e lo stomaco. Senti che la pellicola ti è rimasta appiccicata addosso e che fa persino male. Credo che l'unico modo per non apprezzare il film sia rimanerne fuori, non farsi coinvolgere. Altrimenti diventa un vortice che ti risucchia. Il regista gira con semplicità, senza retorica e mettendoci lui per primo il cuore, ma gran parte del merito va agli attori: Ezra Miller, che dopo la grande prova in ...e ora parliamo di Kevin diventa Patrick, gay estroverso alla ricerca del vero amore che lo liberi dal pregiudizio; il giovanissimo Logan Lerman, novello Ian Curtis, vittima del proprio passato; Emma Watson e il fascino di una Sam donna/bambina che prova a reinventarsi dopo tutti i suoi sbagli. Ah, c'è anche Tom Savini, che non mi aspettavo ed è stato piacevolmente malinconico trovare in un film come questo.
E alla fine, mentre Heroes di David Bowie risuona ancora nelle nostre orecchie, ci chiediamo come faccia il cinema ad avere un effetto simile. Come un film girato con poco (13 milioni di dollari), a Pittsburgh, possa dirci tanto e darci ancora di più. Credo non lo dimenticherò facilmente. Credo. In fondo alcune delle cose raccontate da Chbosky io le ho provate e le provo ancora, parte del mio passato e del mio futuro. E allora non mi resta che riguardalo, sperando di rivivere la magia.