Si dice che nel nome vi sia un destino. Beh nel mio c’è un destino sfigato. Il mio nome di battesimo, scelto dalla mamma italiana, è italiano, mentre il cognome è tedesco, per via di mio padre. Il nome è piuttosto raro, diciamo che andava di moda in Italia forse un centinaio di anni fa. Per questo a parte le difficoltà che ho sempre avuto nel farlo capire (Come dice scusi? Anilina? Severina? Belina?), c’é stato in passato chi mi ha detto: “Uh che nome romantico, sa di antico, evoca cose lontane nel tempo ” - commento poetico - e chi invece ci è andato giù pari: “È un nome da vecchia!” - commento cafone! Ma il peggio sta nel cognome. In Italia ho passato 36 anni a farne lo spelling continuamente a chiunque, per poi doverlo ripetere sempre almeno 2 o 3 volte, prima che dall’altra parte ci azzeccassero a scriverlo o a ripeterlo. Poi non vi dico le storpiature, tra cui la celeberrima e gettonatissima “Vietnam”: ma come si fa, dico io, a pensare che chiunque si possa chiamare così di cognome!
Quando mi sono trasferita in Germania, mi sono illusa che fosse finalmente iniziata la fine del tormento, del dover ripetere continuamente, spiegare (sa è un cognome tedesco. Ah e come mai?, Eh per via di mio padre sa, ma io sono nata in Italia. Ma dai, pensi che io da piccolo avevo una compagna di classe, anzi no, la mamma della mia compagna che aveva un cugino il cui suocero era tedesco. Roba da matti, è proprio piccolo il mondo!), mimare, mostrare documenti, usare l’alfabeto morse e via dicendo. È vero, quel tormento è finito, ma in compenso ne è iniziato un altro: la condanna di sembrare tedesca a tutti gli effetti.
Quando ho un contatto con chiunque qui in Germania, la cosa si trasforma regolarmente per me in un’agonia. Esempio a caso: vado dal farmacista e mostro la ricetta che mi ha dato il medico. Sulla ricetta c’è il mio cognome, il farmacista mi guarda e vede una tipa alta, secca, bionda e coi lineamenti nordici. Poi mi sente parlare, anche solo per dire “Buonasera”, sente la pronuncia (che, mi dicono, sia quella di un madrelingua) e TRAC. Tutto bello baldanzoso, si sente in totale confidenza e via che spara una frase dietro l’altra a 200 parole al minuto, magari mangiandosele, infilando nel discorso espressioni gergali, parole in dialetto, proverbi tipici bavaresi e magari modi di dire assurdi, caratteristici solo di Monaco di Baviera. Io rimango lì imbambolata, qualcosa ho capito, adesso certamente capisco di più di un anno fa quando sono arrivata, ma può essere che il senso generale di quello che mi è stato detto mi sfugga o mi sfuggano parti del discorso, che però, guarda caso, si rivelano fondamentali per un corretto scambio comunicativo. Allora spalanco gli occhi, metto su la mia espressione corrucciata e dico: “Bitte? Können Sie wiederholen?” o “Können Sie langsam sprechen?“(Scusi? Può ripetere? Può parlare lentamente?)
A questo punto le reazioni possibili sono tre. L’altro ripete lentamente o alla stessa velocitá, con aria educata, senza farsi troppe domande: e qui mi va grassa. Oppure l’altro ripete scocciato, credendo che io sia un po’ stupida o molto distratta: e qui m’infastidisco. Oppure ancora l’altro é convinto che io abbia un problema di udito e inizia a urlare, a gesticolare o a mostrarmi delle figure per farsi capire meglio. Non sapete quanto io mi senta a disagio. Allora certe volte dico: “Tut mir leid: ich bin Italienerin” (scusi, ma sono italiana), ma certe altre volte semplicemente non ce la faccio, sono stufa di dover spiegare, raccontare, giustificare: sono esaurita. Basta. Allora faccio finta di niente, spero di cavarmela comunque in qualche modo e buonanotte al secchio. E pensare che le prime volte qui, alla richiesta di vedere un mio documento, mostravo orgogliona il passaporto tedesco, lieta di avere finalmente dopo anni l’occasione concreta di utilizzarlo. Credetemi: ho smesso.
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