Premetto, perché è necessario dal momento che sembra che non si possa affrontare la politica senza metterla nel personale (gran brutto vizio), che questo post e tutti gli altri che ho scritto e scriverò in futuro, non riguardano mai il privato di una persona, ma solo e unicamente il pubblico che spesso è politico. Le persone su questo spazio non mi interessano, mi incuriosisce ciò che pensano, ciò che scrivolo e ciò che fanno. Io cerco di capire e condivido con voi i miei ragionamenti. Nessuna pretesa di verità, ma semplice ricerca.
Il tema è ancora la festa alla Gabella, perché il mio disgusto è stato condiviso da molti e criticato da molti altri. Mi interessa qui analizzare il testo del consigliere grillino, Roberto Cognetta, che su fb giustifica con un lungo post la sua bevuta. Il linguaggio usa una figura retorica che si chiama anafora e consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di una frase per dare più risalto al concetto da esprimere. Le parole usate dal consigliere sono: non basta. Riporto alcune frasi fra le molte: “Non basta aver difeso e coltivato nel meetup… non basta essere stato deriso e umiliato… non basta aver raccolto firme per le politiche e poi per le regionali… non basta non aver chiesto il voto di preferenza… non basta essere entrato sapendo di rinunciare al mio lavoro quasi a tempo indeterminato… non basta essere entrato in Consiglio e cercare di capire entro due giorni… non basta combattere contro gli uffici, le regole assurde, i giornalisti faziosi e prezzolati, lo sputtanamento, la calunnia, le querele… non basta limitarmi lo stipendio… non basta sentirmi dare del coglione per questo… non basta essermi sentito solo… non basta aver rifiutato proposte economiche per me e per i miei figli… non basta essermi battuto contro il mostro… NO! A quanto pare non basta perché sono andato a bere alla Gabella.” Il discorso verte tutto su di sé, sulle proprie buone intenzioni, i sacrifici, la solitudine, la rettitudine…, il significato del post non è profondo, anzi, è piuttosto semplice e infantile: io sono buono e gli altri no, perché mi hanno criticato.
Io mi sforzo, gli altri mi calunniano. Io ho alzato il culo dalla sedia, gli altri, quelli che mi criticano, non fanno un cazzo. Io ho combattuto contro il mostro (il mostro?) e ho vinto, noi abbiamo vinto! (noi chi?). Roberto Cognetta nella sua enfasi si presenta come un San Giorgio che combatte il drago e vince. Anche la figura di san Sebastiano andrebbe bene: legato a un palo con il corpo colpito dalle numerose frecce scagliate da coloro che lui stesso definisce i guerriglieri della tastiera. La risposta data dal consigliere-soldato-martire alle giustificabili critiche rivolte per un comportamento politico ritenuto da molti come indecente, nulla ha di politico. Sa di confessionale. E’ infatti uno sfogo privato, piuttosto stucchevole e patetico che nessuno gli ha chiesto, come peraltro nessuno gli ha chiesto di fare ciò che ha scelto di fare. Cos’è il suo ruolo, un ex voto? Un fioretto? Questo dimostra di come i politici locali siano ancora lontani dal fare politica di qualità (mi riferisco alla comunicazione). Di come è difficile per loro separare il privato dal pubblico e non solo nella gestione dei soldi, ma anche nella conduzione dei sentimenti (considerato l’eccesso d’uso direi sentimentalismi). Che però commuovono da sempre e creano simpatia: come si può criticare un martire che si immola per il bene comune?