Non c’è mica solo Silvio. C’è anche Sergio. L’Italia è piena di “S” e non sono santi

Creato il 07 febbraio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Per la Fiat l’arrivo di Sergio Marchionne, ‘o canadese che lavora a Torino ma paga le tasse in Svizzera, sarà stata una benedizione, sicuramente lo è stata meno per l’Italia. Da quando è diventato amministratore delegato, la Fiat non ha prodotto un solo nuovo modello di auto, tanto che, ad un certo punto, è sembrato che la sua fosse la politica del restyling: Nuova Punto, Nuova Panda, Nuova Uno, Nuova Cinquecento. Tutto in apparenza “nuovo”, tutto “vecchio” in sostanza. Grazie a questa politica di investimenti quasi zero, e forte degli incentivi dello Stato per le auto ecologiche, Marchionne è riuscito a distribuire agli azionisti della Fiat un bel po’ di dividendi, cosa che non accadeva ormai da parecchio tempo. Per merito della ricerca dell’azienda torinese sulle auto di nuova generazione a basso impatto ambientale, Marchionne è riuscito nell’impresa di sbarcare in America dove c’è un presidente, Barack Obama, sensibile ai temi dell’inquinamento e nientepopodimenochè all’odiatissimo (da George W. Bush) protocollo di Kyoto. Grazie ai prestiti concessi dagli Usa e dal Canada, Marchionne ha rilanciato la fallita Chrysler ed è diventato una sorta di modello manageriale anche negli Stati Uniti dove i sindacati, pur di far lavorare gli operai, sono disposti ad adottare la filosofia cinese del “lavolale, lavolale, tacele, tacele”. Forte del miracolo made in USA, “Blue Sweater” ha cercato di fare anche in Italia quello che gli è riuscito senza troppa fatica in America: costringere i sindacati a dire si al suo modello produttivo a prescindere, e a potare tutti i presunti rami secchi dell’azienda. Per prima cosa chiuderà in questi mesi Termini Imerese. Finiti i finanziamenti dello Stato e della Regione Sicilia, quello è uno stabilimento che non serve a nulla e che costa un mucchio di soldi all’azienda solo per trasportare da una parte all’altra della penisola i pezzi della Y10 Lancia da assemblare. Poi ha messo le mani su Pomigliano d’Arco con la scusa di ridurre l’assenteismo e infine ha posto in essere il referendum beffa di Mirafiori con il quale ha adoperato l’unica arma “politica” che Marchionne sembra possedere: il ricatto. In attesa di vedere “cash” i 10 miliardi di euro di investimenti promessi, gli operai di Mirafiori saranno messi in cassa integrazione e, a ripresa, lavoreranno indovinate su cosa? Il Suv Fiat prodotto a Detroit e assemblato nel reparto carrozzeria di Torino; e pensare che Termini chiude perché trasportare pezzi da Torino e Pomigliano in Sicilia costa l’iradiddio! Ma in Italia il sindacato (almeno una parte) ha un’altra storia rispetto a quello americano. Al momento della contrattazione prima di cedere 10 minuti di pausa vuole vedere il piano industriale dell’azienda e soprattutto constatare se i sacrifici richiesti sono coerenti con i presunti impegni economici dell’azienda. Stando a quello che ci raccontano, il piano industriale di “Blue Sweater” è composto da una paginetta vergata a mano nella quale sono scritte quattro parole: “lavolale, lavolale, tacele, tacele”. Nonostante tutto il referendum è passato. Gli operai italiani seguiranno il metodo “Malchionne” e gli azionisti della Fiat torneranno a dividersi utili. Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, arriva la dichiarazione di Sergio ‘o canadese da San Francisco: “Tra due o tre anni Fiat e Chrysler potranno diventare un'unica entità che potrebbe avere sede qui negli Stati Uniti”. E aggiunge: “Mirafiori è un progetto fondamentale per Fabbrica Italia ma nel Bel Paese si fa troppa politica". O, aggiungiamo noi, non se ne fa affatto visto che all’ad della Fiat la politica ha permesso di fare quel che cazzo ha voluto. Richieste spiegazioni, “Blue Sweater” ha dato versioni diverse a seconda di chi fosse l’interlocutore del momento. La prima è che “il cervello della Fiat resterà in Italia e la mano d’opera sarà americana”, la seconda che “l’headquarter della Fiat sarà a Detroit e parte di manovalanza a Torino”. A questo punto qualcuno ha deciso di vederci chiaro...oddio...di chiedere almeno spiegazioni. Così Sergio Chiamparino, uno di sinistra che ha benedetto fin dall’inizio l’operato di Marchionne, lo ha convocato in municipio mentre il governo ha deciso di ascoltarlo per tentare di lasciare a Torino almeno il centro direzionale europeo altrimenti destinato alla Serbia o alla Polonia. Chiamparino è amareggiato, il governo rassegnato soprattutto nel momento in cui sul “piano di rilancio economico” sembra voglia finalmente investire la sua “incredibilità” politica. Marchionne, intanto, ride sornione. Sa che con queste mezzeseghe che hanno tranquillamente affermato,“per un industriale puntare su mercati del lavoro meno onerosi è un obbligo” (Silvio Berlusconi, nda), avrà partita vinta e sa che potrà alzare il prezzo di qualsiasi contrattazione puntando sull’effetto dipartita. Sentiti in proposito, Raffaele Bonanni si è trincerato dietro un “voglio vedere le carte” che ha lasciato tutti stupiti, mentre Luigi Angeletti ha detto “sto a pescà che cazzo volete da me?”. C’è da dire, per concludere, che Marchionne, affascinato dalla capacità comunicativa di Berlusconi, fa le sue dichiarazioni più importanti quando si trova all’estero esattamente come il vostro presidente del consiglio. La fregatura per entrambi è che le fanno in paesi nei quali vige il trattato di estradizione con l’Italia, ma loro sono sopra tutte le regole e le leggi, capataz indisturbati.

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