“Non ammesso/a”. Da ieri migliaia di piccoli, potenziali, studenti di scuola materna a Roma hanno avuto la loro sentenza. Per loro non c’è spazio in una delle poche e malconce scuole che popolano le periferie della Capitale. Una scuola, quella dell’infanzia, piena di contraddizioni.
Dove le maestre, come le colleghe della scuola primaria e secondaria, si confrontano con contratti precari e con strutture e luoghi di lavoro fatiscenti. Insegnanti che, nonostante queste premesse, devono avere la lucidità di gestire 25/30 bambini dai 3 ai 5 anni. Mondi dell’infanzia distanti tra loro, per età ed esigenze, che spesso devono convivere in piccole stanzette o in risicati ‘open-space’ dove mancano i più elementari sistemi di sicurezza. Scale di ferro da giardino prive di cancello di chiusura, che dalle piccole aule portano due metri e mezzo più in alto nel controsoffitto-sgabuzzino, dove si affacciano e si arrampicano pile di libri e materiali scolastici. Ritagli di giardino, dove i piccoli trascorrono l’ora d’aria giocando, confinanti con terreni della scuola da ristrutturare delimitati solo da nastri segnaletici. Qui vivono e lavorano gli insegnati delle scuole materne comunali di Roma, e qui trascorrono il loro tempo giocando e imparando i ‘privilegiati’ bambini che vengono ammessi.
Sì perché, nonostante siano spesso pericolanti, le scuole dell’infanzia sono anche un lusso . Un ‘lusso’ per le amministrazioni comunali che, dopo aver convogliato migliaia di famiglie in quartieri dormitorio con la promessa di portare servizi, lasciano quei progetti a impolverarsi negli armadi di qualche ufficio del Comune. Ma sono un vero lusso, anche a causa di queste promesse ferme sulla carta, per tante famiglie che ogni anno sperano, si impegnano e a volte si ingegnano per garantire ai propri figli un posto a sedere a scuola.
E allora, mappe dei bacini d’utenza alla mano. Sottrazioni, divisioni per quantificare i posti disponibili nelle scuole più vicine. E, per finire, tour delle scuole negli “Open Day”. Un mese di studio per l’iscrizione alla scuola comunale dell’infanzia che trasforma ogni mamma in ragioniera. Una gara a colpi di graduatoria e punteggi, che con mesi di anticipo mette le famiglie in stato di agitazione. Perché nella Roma dei palazzinari, delle periferie affollate di palazzoni semivuoti rimasti spesso monumenti del malaffare capitolino, non si riesce a pianificare la realizzazione di un numero sufficiente di scuole materne capaci di accogliere i bambini che in quei palazzi ci vivono. E così la scelta di mandare a scuola questi piccoli studenti a volte diventa una strategia. Come quella di chi è disposto a fingersi separato/divorziato per accedere ai punti cui ha diritto una famiglia monoparentale. O chi, senza troppe strategie, ha avuto altri figli che di fatto in questa roulette si trasformano in punti-scuola per ogni figlio nato. E poi c’è il lavoro: se uno dei due genitori ha la colpa di non lavorare, per scelta propria o altrui, le conseguenze ricadono sui figli costretti a rinunciare alla pre-scolarizzazione per mancanza di punteggio familiare.
Ma ciò che fa la differenza e garantisce un posto nella Top ten, alla fine, resta solo un elemento. L’unico che di fatto sopperisce alla mancanza di posti, di spazi, di servizi. Di un servizio che dovrebbe essere obbligatorio, in quanto servizio scolastico. Ed è la Fortuna. La fortuna che quell’anno, nella scuola (unica preferenza, come prevede il regolamento comunale capitolino per le scuole dell’infanzia) prescelta per l’iscrizione ci siano posti a sufficienza anche per chi aveva a fatica racimolato punteggio. O la fortuna di aver concepito e messo al mondo un bambino nel mese dell’anno che dà più garanzie di accesso alla scuola.
Qui dove la scuola non è un diritto (nel caso della materna, per definizione) e dove non si garantisce una pre-scolarizzazione a tutti ma solo ai più fortunati, qui i bambini imparano presto che il loro diritto/dovere di stare con altri bambini e imparare a diventare grandi è una strada piena di ostacoli. A volte anche economici, se per garantire questo diritto ogni genitore è costretto a pagare una costosa scuola privata.
E se non è un diritto per tutti i bimbi farne parte, almeno non chiamatela scuola.