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“Non chiamatemi maestro” di Corrado D’Elia al Teatro Libero

Creato il 30 giugno 2014 da Temperamente

Corrado d'Elia_1_bassaNon chiamatemi maestro. È Corrado D’Elia, direttore artistico del Teatro Libero, attraverso le parole di Giorgio Strehler, che ve lo chiede.

Una rilettura di diari, interviste, lettere pubbliche (tra cui la celebre invetiva contro il FUS), che illustrano in modo più che acclarato lo sconfinato amore del regista per il teatro. Dalla geniale e pazza idea, avuta con Paolo Grassi, quando un triestino e un pugliese pensarono a far nascere il Piccolo Teatro dalle ceneri di un ex cinema. Un’idea che sembrava completamente assurda, nata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e che invece porterà all’istituzione del primo teatro stabile di Italia. Il Piccolo è nato con l’idea di creare un teatro aperto al pubblico e infatti suo slogan fu “Teatro d’Arte per Tutti”, indirizzato ad un pubblico più vasto possibile, ma che fosse anche di qualità, artistico.

È facile vedere una certa somiglianza di intenti tra il creatore del Piccolo e quello del Teatro Libero, con la sua storia di indipendenza e di piccoli teatri di nicchia milanesi. Corrado D’Elia sembra non debba neanche calarsi in una parte: la comunione con le parole di Strehler, quella stessa passione e volontà di realizzare un progetto artistica, è perfetta, calzante, emotivamente partecipe. Si capisce perfettamente quanto gli stessi dolori e le stesse follie siano condivise, quanto lo stesso ardore nel proprio lavoro sia comune, quanto maestro sia Strehler, a livello artistico ma anche come modello. D’Elia è a piedi nudi, su una sedia, e il pubblico può decidere di salire sul palco con lui, accerchiandolo, come fosse una lezione ma anche come fosse una chiacchierata, un ritrovo tra amici.

Della vita di Strehler D’Elia legge gli amori per le donne, bellissime e gioiose, appassionate teatranti come lui («Ti guardavo ed eri bellissima… tu eri teatro»); così come il rapporto con Milano, città frenetica e operosa, intelligente e all’avanguardia, che ha saputo sfruttare l’arguzia di due forestieri per creare una realtà innovativa e meravigliosa come il Piccolo; ma anche Milano città odiata, piena di indifferenza, finzione e gente dabbene; su tutto, l’amore per l’umanità, che è teatro, con le sue mille contraddizioni e sfaccettature.

Fare teatro perché è l’unica cosa che si può/si sa fare; perché Strehler racconterebbe una storia anche senza scenografia, senza, mani, senza voce, senza pubblico – la racconterebbe a sé stesso. Vale lo stesso, vuol dirci D’Elia, anche per lui, in questo monologo così scevro di effetti pirotecnici, di giochini facili, in cui c’è solo lui e le sue parole. Da cui sicuramente trasmette l’ammirazione, sconfinata, per colui che non vuol farsi chiamare maestro ma naturalmente lo è, e irrora tutta la sua passione per lo stesso difficile mestiere; nel tentativo di non aggiungere altro alle parole, già pregnissime, di Strehler, D’Elia lascia tutto così, privo di fronzoli, il più possibile diretto e vicino al pubblico. Una formula già collaudata e apprezzata questa degli Album, una forma di compartecipazione tra pubblico e attore molto schietta e viscerale. Da cui forse ci si aspettava, anche in onore al grande maestro, una qualche diversità nello stilema rispetto alle altre, un qualche cambiamento, un osare di più, ed invece si limita a ripercorrere con le migliori parole tutta la vis del mostro sacro Giorgio Strehler.

Al Teatro Libero fino al 15 luglio 2014.


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