Sarajevo era una città bella, dove tutti sapevano vivere insieme, nonostante le differenze. Per secoli cattolici, musulmani ed ebrei avevano convissuto pacificamente, poi, di colpo, la guerra, una guerra che Marco cerca di raccontare per quello che vede, senza facili pietismi, provando a svegliare le coscienze dei suoi connazionali in vacanza. Dov'è l'Europa civile? si chiedono gli abitanti di Sarajevo che vivono col mirino puntato addosso, affidando ogni giorno la propria vita a un tiro di monetina. Testa o croce, vita o morte: in quel 1992, al di là dell'Adriatico, la loro probabilità era quotidianamente la stessa.
Nel mezzo di quella pulizia etnica, mentre sta girando un servizio per la tv italiana in un orfanotrofio, Marco si innamora di una testolina bruna tra le tante bionde, si innamora di un sorriso che sembra proprio aver scelto lui, si innamora di un piccolo braccio dietro la nuca. È un attimo che non ha perché, quello in cui Marco capisce che Malina, proprio lei, sarà sua figlia e con lui tornerà in Italia, a mettere ordine in una casa incasinata e in una vita vuota.
La storia, che già conoscevo, mi ha rapita. Da giornalista qual è, Franco Di Mare scrive in maniera stringata e veloce, senza dilungarsi in descrizioni d'amore o di guerra. Ci racconta dei momenti, dei passaggi, senza indagare più di tanto lo stato d'animo dei personaggi, forse perché Edin, Karen, Maria Teresa Giovannelli, Luciano, Ljubo e gli altri non sono personaggi nella mente e nella penna dell'autore, ma persone vere, in carne e ossa. E poi non era uno che sapeva parlare di sentimenti, lui. Era capace di raccontare una battaglia, ma si perdeva se gli chiedevano di guardarsi dentro.
Quella di Franco Di Mare è una storia così bella che sarebbe potuta essere anche soltanto un romanzo, il fatto che sia vera l'arricchisce sotto il profilo umano e forse la impoverisce sotto quello letterario, ma questa è solo una mia piccolissima impressione che non ha ostacolato il piacere della mia lettura.
Ho amato Non chiedere perché, perché quella di Sarajevo è una storia che non conosciamo davvero. È un controsenso, ma sono sicura che siamo più ferrati sull'attentato che, in quella città, nel 1914, provocò lo scoppio della prima guerra mondiale, piuttosto che su quello che è successo, in quella stessa città, solo vent'anni fa. Per me è senza dubbio così.
Benvenuti a Sarajevo, dunque, città che, ci fa notare l'autore, ha aperto e chiuso la storia del Novecento.