Non ci può essere buona musica senza una buona educazione all’ascolto

Creato il 29 febbraio 2016 da Stivalepensante @StivalePensante

(Luca Cirio) – La mia mente ritorna a qualche giorno fa, sveglio all’una nel bel mezzo della notte che separa il 23 e il 24 Febbraio, da poco tornato dalla “pettinata” zona Isola di Milano. Il perchè ci sono stato ve lo spiegherò dopo.

(otomed.it)

Non ci può essere buona musica senza una buona educazione all’ascolto. Per ora ci interessa solo il fatto che, una volta aperta la porta di casa, essermi spogliato e “divanizzato” (se l’Accademia dell Crusca ha accettato “petaloso”, direi che ora vale tutto), quando accendo la tivù trovo un talent show con, tra quelli che dovremmo definire giurati, un tizio al quale, non so bene in base a che cosa, è stata attribuita l’autorità di capire e decidere se un cantante può continuare la sua strada nel talent show o no. Mi riferisco a quello che ho visto questo martedì come potrei riferirmi a qualsiasi altro talent show, pertanto non è una presa di posizione nei confronti di un determinato personaggio, ma verso l’elite che impone un modo sbagliato di veicolare un messaggio che dovrebbe essere artistico. In pratica, amici de “Lo Stivale Pensante”, non ce l’ho con Emis Killa, che può dire e fare quello che vuole, ma con chi ha deciso di mettere proprio lì personaggi che, come lui, a mio parere non sono ancora in possesso di quella maturità artistica necessaria a poter direzionare l’ascolto del pubblico. Certo, ci sono problemi molto più importanti nel mondo, ma a me piace parlare di musica e questo Stivale può essere Pensante anche su tematiche che non sono certo fondamentali e irrinunciabili nella vita, ma di certo aiutano a migliorarne la qualità.

Dunque, ora fermiamoci, ho due storielle da raccontarvi. Torniamo indietro nel tempo a circa una decina di giorni fa: io e il mio caro amico R. ci siamo fatti un giro tra i campi della provincia di Lodi a casa di un ragazzo che costruisce artigianalmente, al momento solo per hobby, dei pedali effetto per chitarra (a tal proposito, cari lettori musicisti nerd, fatevi un giro su apexpredatoreffects.com); lo stiamo aiutando a pubblicizzare il suo lavoro, che io giudico fantastico se consideriamo che sul mercato si deve confrontare completamente da solo con produttori che lavorano su scala industriale. R. è un perito elettronico, ma soprattutto uno smanettone della sei corde e di tutto ciò che ci gira intorno: era inevitabile che a un certo punto della nostra visita lui e il nostro alchimista magico cominciassero a parlare di come migliorare la produzione. Utilizzavano un’incomprensibile lingua fatta di termini come “condensatore”, “resistenza”, “transistor” e altre parole varie che potete immaginare quanto poco possano coinvolgere uno come me, completamente convinto che le innovazioni tecnologiche dell’ultimo secolo possano essere dovute solo a qualcosa di paranormale. “Quando un uomo siede due ore in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà che siano passate due ore. Questa è la relatività”. Si dice lo abbia detto Albert Einstein e credo sia una sacrosanta verità: la chiacchierata tra i due è infatti durata quaranta minuti, che a me sono sembrati più che altro quaranta Windows-minuti (chi ha dovuto finire un lavoro con fretta di spegnere il pc e andarsene capirà questo termine), lasso di tempo in cui ho fatto qualsiasi cosa, persino provare i discutibili giochini presenti nel modesto telefono che possiedo, ma soprattutto in cui avrei voluto spararmi in bocca per terminare la mia noia totalmente agonizzante. Sapevo che stavano parlando di cose interessanti e ogni tanto afferravo qualche concetto sentendomi come Galileo quando capì che è la Terra a girare intorno al Sole, ma bastava sentire la frase dopo per annullare tutto e condurre il mio cervello verso gli stati di alterazione psichico-sensoriale tipici di un esaurimento nervoso.

Ri-facciamo un piccolo salto nel tempo rispetto a quel giorno, e torniamo alla sera di martedì 23 Febbraio, che ho passato al Blue Note di Milano, tempio meneghino della musica jazz, in occasione di un concerto di Julian Lage e Nels Cline, due chitarristi esagerati che chiaramente in Italia sono conosciuti da credo tre persone, quattro col sottoscritto, di cui uno è un altro mio caro amico, A., al quale bisogna attribuire, avendomi trascinato in questa cosa, quello che non si riesce a capire bene se può essere considerato un merito o un reato. Assistendo al concerto ho provato le stesse identiche e maledette sensazioni descritte prima: capivo chiaramente che quei due sul palco fossero dei musicisti eccezionali, che io non sarei riuscito ad eguagliare neanche con sei vite da mantenuto a disposizione, ma non avevo la benchè minima idea di cosa diavolo stessero suonando e, quando mi sembrava di intuirlo, invece, mi buttavano dentro una dissonanza di quelle che fai fatica a capire se è voluta veramente o un errore. A fine concerto me ne torno quindi a casa in metro insieme ad A. convinto (e come sempre con quel dannato fare presuntuoso con cui, inizialmente, sono solito atteggiarmi) che la colpa di tutto il mio disagio nell’ascolto di quella sera fosse di quei due chitarristi che avevano deciso, simbolicamente, di fare un discorso tra loro in codice Morse escludendomi completamente da ciò che si stavano “dicendo” musicalmente, proprio come avevano fatto i miei due amici in quegli interminabili quaranta minuti di oblio nel lodigiano. A., il quale, dovete sapere, è un ottimo chitarrista che studia jazz, dopo che gli espongo questi miei pensieri giustamente mi fa arrivare con piccole domande al concetto secondo cui le due situazioni hanno avuto lo stesso svolgimento (io che non capisco niente) con un uguale elemento costante (la mia totale incapacità di comprensione del linguaggio utilizzato dalle due sorgenti di comunicazione), ma non partono dal medesimo presupposto: nel caso del concerto jazz, Julian Lage e Nels Cline hanno sempre suonato queste cose, ci hanno inciso un album e sono andati a suonarle in un locale dove la gente va proprio ad ascoltare questo tipo di cose pagando pure un biglietto. Lo stesso biglietto che ho voluto pagare io per ascoltarli, io che penso che il jazz, come disse John Coltrane, “è come una scoreggia: piace solo a chi lo fa.”, io che ammetto la mia totale ignoranza dell’argomento.

Improvvisamente capisco che l’idiota sono io, ma ovviamente, secondo la mia usanza di non darmi colpe, cerco subito qualcuno a cui attribuirle.

Torniamo alla problematica posta all’inizio dell’articolo: come siamo arrivati al fatto che all’interno di un talent show si possa essere giudicati dal primo che passa e, soprattutto, com’è che nessuno smette di guardare talent per questo motivo?

Beh, io non so come funzioni adesso nel mondo della Pubblica Istruzione, ma so come funzionava a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila: alle scuole elementari nell’ora di insegnamento di Musica si imparavano canzoncine e si giocava con qualche strumentino a percussione; alle scuole medie si imparava a suonare uno strumento brutto e inutile come il flauto dolce che poi non viene utilizzato in nessun complesso, banda o orchestra; alle scuole superiori la materia musica era completamente bandita. Se il mercato discografico ci bombarda alla radio col Pulcino Pio, la Pubblica Istruzione dovrebbe insistere sul far ascoltare qualcosa di maggiore qualità ai bambini e ragazzi che un domani saranno adulti. Non sto certo a predicare l’insegnamento obbligatorio di jazz e fusion all’asilo, ma è chiaro che se rendi un intero Paese analfabeta musicalmente, non sarà mai in grado neanche lontanamente di avere gli strumenti per capire cosa è arte e cosa no, e soprattutto non sarà mai in grado di competere in questo ambito col resto del mondo.

Che, se fossimo il Bangladesh, potrei anche capire, ma siamo l’Italia e sugli spartiti di musica classica e opera lirica in tutto il mondo si utilizza la nostra lingua.

P.S. Aggiungo un ultimo aneddoto su cui riflettere, per gli amici appassionati di audio recording: il Blue Note, che viene riconosciuto come un’istituzione, con a disposizione una strumentazione che non potrei mai permettermi di comprare, registra l’audio dei concerti di grandi personalità del jazz prendendo solo il Master Left/Right del mixer.


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