Quello che leggerete qui sotto è un post che ho in bozza da diverso tempo.
Visto che pare sia in uscita un Blu-ray di Non ci resta che piangere con scene non inserite nell’originale ho pensato fosse il caso di pubblicralo adesso.
In particolare perchè i setti minuti che Repubblica spaccia come inediti sono invece tutti compresi in quella seconda versione del film di cui vi parlo a fine post, versione decisamente più lunga e che quindi non escludo contenga tutti i 41 minuti così pubblicizzati la settimana scorsa.
Per anni ho pensato che Non ci resta che piangere fosse il miglior film comico italiano. Quello che più di tutti fa ridere, sorridere, muovere i muscoli delle guance.
Ed effettivamente mettere insieme due attori (ma soprattutto due autori) della forza comica di Massimo Troisi e Roberto Benigni non poteva che dare risultati eccellenti.
Naturalmente la mia affermazione precedente è molto azzardata, perchè in realtà solo in rari casi l’insieme di due comici che funzionano perfettamente da soli può avere risultati apprezzabili anche in una coppia che rimane estemporanea.
Il caso in questione è però sicuramente Non ci resta che piangere.
La storia spero sia arcinota ai più.
Maestro elementare e bidello si trovano catapultati in pieno 1400 (“quasi 1500″) in una Frittole dove è quotidiano lo scontro armato tra famiglie rivali, dove i rifiuti corporali si scaricano dalla finestra e dove la messa domenicale è l’unico momento di incontro tra uomini e donne.
L’anno preciso è il 1492 e così il maestro Benigni convince il bidello Troisi della necessità di fermare Colombo prima che salpi alla volta delle Americhe.
Le sue motivazioni sembrano ideologiche ma in realtà vuole evitare che la sorella incontri, 500 anni dopo, il suo fidanzato americano.
Il film è zeppo di situazioni di una devastante comicità.
In ordine sparso ricordo i due che provano a far finta di niente sperando che aprendo il portone si ritrovino nel 1900, Troisi alle prese con il moralizzatore (“Ricordati che devi morire” “Si, si… mo me lo segno”), Troisi che cerca di scovare un americano buono nella storia del mondo (“I Beatles!” “I Beatles, ma i Beatles sono inglesi!”), i due che passano la dogana (“Chi siete? Dove andate? Si, ma quanti siete? Un fiorino!”).
E poi l’incredibile incontro con Leonardo durante il quale i due cercano di sfruttare la sua (presunta) intelligenza per spiegargli tecnologie moderne, brevettarle e poi dividere gli incassi.
E naturalmente la scena della lettera a Savonarola, incredibile, fantastico, straordinario, devastante omaggio comico alla lettera di Totò e Peppino in Totò, Peppino e la malafemmina.
Una curiosità su cui mi sono arrovellato per anni.
Un giorno, guardando l’ennesimo passaggio televisivo, mi accorgo che a circa 20 minuti dalla fine la storia cambia completamente e prende una nuova strada.
Solo anni dopo, grazie alla rete, ho potuto appurare che esistono effettivamente due versioni del film, la seconda delle quali, distribuita successivamente e senza avviso alcuno, sviluppa in maniera ampia l’incontro tra i due protagonisti e l’amazzone (Iris Peynado) che cerca di fermarli. Il racconto si concentra sul rapporto tra i tre ed inserisce anche una storia d’amore inesistente nella prima edizione.
In realtà questa seconda versione non aggiunge nulla di fondamentale ed ha la grave colpa di cancellare completamente l’incontro con Leonardo!
Le due storie si ricollegano sulla scena finale, con Troisi e Benigni che corrono disperati verso la spiaggia dopo aver scoperto che Colombo è già salpato.
Se vi capita di guardare le due diverse edizioni del film avrete anche un perfetto esempio dell’importanza del montaggio in un film. Alla scena finale si arriva infatti da due situazioni completamente diverse, ed in entrambi i casi la sequenza funziona in maniera ottima.
Poi però dimenticate la seconda versione e tornate a godervi quella originale, quella dissacrante, quella in cui la coppia Benigni-Troisi ci ha regalato una delle pellicole più folgoranti del cinema italiano.
E se Massimo non ci avesse abbandonato così presto chissà se…