Magazine Diario personale

Non ci sarà MAI PIU’ una vita normale. Seeee, col cavolo!

Da Romina @CodicediHodgkin

Mi alzo alle 6:45 e faccio colazione con calma. Mi sveglio presto, anche se potrei alzarmi con più calma, perché per me è importante fare colazione da sola, senza nessuno intorno. Prima del caffè mi esprimo a grugniti e non sono in grado di formulare nulla di lontanamente coeso e coerente. Verso le 7:30 suona la sirena in cameretta di Gengis Khlaudia – La Bambina Che Non Poteva Nascere – le porto il latte a letto, lo scola in un minuto senza nemmeno aprire realmente gli occhi. Un risucchio nella stanza buia, tipo lavandino stappato, annuncia che lo ha finito, mi allunga il biberon, si gira dall’altra parte e continua a dormire. Perché, in realtà, non si è mai realmente svegliata. Era un pit-stop fatto nel sonno, lei la mattina è come gli albatros…dorme in volo.

Torno in cucina, mi avvantaggio qualcosa per pranzo, saluto Maschio Alfa, e inizio la parte attiva della giornata. Dalle 7:30 in poi, è tutto un lavarsi e lavare a oltranza finché la gnoma non si sveglia sul serio, verso le 9:00 o anche dopo. La preparo e si va al parco. Un po’di altalena, un po’di dindolò, 5 o 6 giri di corsa del parco. Ovviamente piegata a metà visto che ancora non cammina e ha ancora bisogno della mia mano per fare i suoi giri. Torniamo a casa verso le 12:00, la piccoletta pranza e poi giochiamo fino alle 14:00. Claudia è una bambina ad orologeria: se è a casa, alle 14:00 inizia a barcollare e stropicciarsi gli occhi, ci si può caricare un orologio. A quel punto mi schianto sul divano e scrivo un pochino: aggiorno il diario per Claudia Da Grande, stendo il bucato, mi godo il silenzio, e, se ho in programma qualcosa di laborioso per cena, inizio a portarmi avanti col lavoro. Infine, poltrisco un po’. La gnometta si sveglia e si gioca a oltranza finché non torna Maschio Alfa. Lei si blocca appena sente l’ascensore, inizia ad agitare le braccia quando sente le chiavi nella toppa e appena entra il Maschio, vestito di una scintillante armatura e ammantato di luce divina, è tutto un gridare “PAPA’! PAPA’! PAPA'” (si noti il tono assai diverso dal “mamma” rauco e perentorio) e un precipitarsi a quattro zampe verso di lui. Manco fosse entrato Bono Vox in casa. Dieci minuti di melassa padre-figlia e io approfitto per defilarmi, furtiva come una faina, e andare a fare un bagno veloce, non rimango mai in ammollo più di quaranta minuti. A quel punto si torna al parco, oppure si resta a casa e io faccio le cose che con lei appesa alle gambe mi rimangono più ostiche da fare.

Arriva la sera. La gnometta diventa mielosa ed ha frequenti, meravigliosi raptus in cui mi getta le braccia al collo, grida “mamma!!”, mi poggia la testolina nell’incavo del collo (in realtà sono più le volte che mi dà una capocciata su uno zigomo ma va benissimo lo stesso), mi dà un bacio bavoso e io mi sento la donna più importante del mondo, ma al tempo stesso mi sento una bambina perché non sono abituata a queste tenerezze in famiglia, specialmente così spontanee ed energiche. Sento che, in un certo senso, mi prendo da mamma i baci che non ho avuto da figlia. E un po’ mi commuovo.

Alle 22:00 le brave ragazze vanno a dormire, ma io non sono una brava ragazza e – visto che da tre torniamo ad essere due – io e Maschio Alfa ci lanciamo in perversioni folli e scellerate: tiriamo fuori sacchetti di patatine, occasionalmente una birretta o un goccio di crema di whiskey, più frequentemente un cappuccino d’orzo. Ci arrotoliamo sul divano, guardiamo un film, giochiamo a tennis con la play station (cosa di cui ci pentiamo l’indomani, visto che non abbiamo più l’età, né il fisico per certe cose), ci aggiorniamo sulla giornata, se è il caso mi lagno un po’ (“Ammazza che palle, ‘sti denti! Ma che davvero gliene mancano ancora 12? Non ce la posso fare.”), parliamo di organizzazione logistica, di amenità, del tableau du marriage (“Quanti celiaci? Quanti vegetariani? Quanti bambini piccoli? Questi due facciamoli mettere in tavoli lontani che è meglio”). E alla fine tutti a nanna.

Per favore, qualcuno può tornare indietro nel tempo per dire alla Romina che ha appena finito la chemio che questa vita banalissima e normalissima sarà la sua, che il linfoma non gliel’ha portata via, che avrà – ne più, ne meno – una vita simile (ma non uguale, quello no, in fondo al cuore certe cose restano e l’ho raccontato tante volte) a quella del resto del mondo, che un giorno i suoi problemi saranno problemi normali che non hanno nulla a che vedere con gli ospedali, che guarirà (guarirà davvero!), che arriverà il momento in cui sarà in pace? Qualcuno le dice che – qualsiasi cosa sia una Vita normale, lei ce l’ha?

Ecco, per favore, il primo che fa un viaggio nel passato mi porti questo messaggio, please, e mi dica che il mio percorso di auto-analisi è giusto, anche se faticoso e spesso doloroso, così mi risparmio anni di avvilimento e frustrazione.

Grazie, Vita, e scusa se a volte ho pensato male.


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