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Non ci sarà un “Secolo asiatico” senza un’istituzione pan-asiatica

Creato il 17 febbraio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Non ci sarà un “Secolo asiatico” senza un’istituzione pan-asiatica

Per più di un decennio molte tra le più autorevoli riviste accademiche hanno pubblicato numerosi articoli, dove si profetizzava che il XXI secolo sarebbe stato il secolo del continente asiatico. La motivazione trova solitamente fondamento nella formidabile crescita dell’economia, della produzione, del commercio, delle riserve in valuta estera e delle esportazioni di molti paesi asiatici. Tali Stati sono caratterizzati da elevata densità demografica: circa 1/3 della popolazione mondiale totale risiede in soli due paesi del continente asiatico, il più esteso al mondo. Tuttavia la storia insegna anche che centri di potere economico e/o demografico tendono ad espandersi nelle proprie periferie, specialmente quando la periferia si trova in una posizione di debolezza rispetto al centro. Tale relazione comporta che qualsiasi cambiamento del potere economico e demografico (assoluto o relativo) di uno dei soggetti protagonisti delle relazioni internazionali potrebbe condizionare l’equilibrio di potenza esistente nell’area, così come influenzare le relazioni che sostengono tale equilibrio nel teatro asiatico (struttura implicita o esplicita). Qual è lo stato delle strutture di sicurezza in Asia? Qual è la capacità esistente della diplomazia preventiva e quali sono gli strumenti a disposizione, quando si presentano situazioni di allarme/prevenzione, valutazione e risoluzione dei rischi? Quali i meccanismi di scambio, riconciliazione e di costruzione della fiducia sullo scenario asiatico?

A differenza di tutti gli altri principali scenari globali che dispongono di sistemi pan-continentali da diversi decenni, come l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), l’Unione Africana (AU) e, per quanto riguarda l’Europa, il Consiglio d’Europa e l’OSCE, la situazione del più grande continente al mondo è, invece, molto diversa. Da uno sguardo allo scenario asiatico appare chiaramente la totale assenza di una struttura panasiatica e multilaterale di sicurezza. Le strutture di sicurezza prevalenti sono, infatti bilaterali e per lo più asimmetriche. Tali relazioni assumono varie forme: dai patti di non aggressione fino a realtà meno definite e formalizzate o ad accordi stipulati ad hoc su materie specifiche. La presenza di istituzioni multilaterali regionali è limitata a poche realtà nel continente asiatico e, anche in tali casi sporadici, difficilmente il tema della sicurezza rappresenta un elemento portante. Un’altra caratteristica evidente della scena asiatica è che la maggior parte delle relazioni di sicurezza bilaterali riguardano uno Stato forte ed un paese periferico o subalterno. Tale relazione non paritaria definisce, quindi, la natura asimmetrica fra i due poli in questione, un centro forte e una periferia debole. Gi esempi di tali accordi bilaterali sono molto numerosi: USA-Giappone, USA-Corea del Sud, USA-Singapore, Russia-India, Australia-Timor Est, Russia-Corea del Nord, Giappone-Malesia, Cina-Pakistan, USA-Pakistan, Cina-Cambogia, USA-Arabia Saudita, Russia-Iran, Cina-Birmania, India-Maldive, Iran-Siria, Corea del Nord-Pakistan, etc.

Possiamo quindi affermare che l’Asia odierna ricorda l’Europa passata. Il continente asiatico combina, infatti, caratteristiche delle età pre-napoleonica, post-napoleonica e della Lega delle Nazioni della storia contemporanea europea. Quali sono le lezioni che si possono trarre dai trascorsi europei? Alcune sono a noi oggi ben evidenti. Il generale Bismarck riuscì a combinare la grande crescita economica, demografica e militare, così come l’espansione territoriale della Prussia, attraverso una lungimirante architettura di complesse reti di accordi di sicurezza bilaterali nell’Europa del XIX secolo. Come nel caso dell’Asia odierna, anche la situazione europea non offriva un sistema di sicurezza istituzionalizzato, bensì una leadership accorta e abile, capace di combinare rapidità decisionale, espansione militare e mantenimento dei risultati. La scelta del nuovo Kaiser di rimuovere Bismarck, il Cancelliere di ferro, destabilizzò lo scenario europeo e la stabilità creata dalla Realpolitik prussiana, creando in tal modo i presupposti per trascinare l’Europa in due devastanti conflitti mondiali. La stessa incapacità di gestire una Germania potente si sarebbe poi ripresentata a Hitler e al nuovo establishment nazionalsocialista.

Le aspirazioni e formazioni politiche di alcune potenze asiatiche di oggi ricordano la situazione dell’Europa nell’epoca pre-napoleonica, quando il blocco unificato e universalista del Sacro Romano Impero subiva le contestazioni degli sfidanti allo status quo vigente. Tali oscillazioni centripete e centrifughe in Europa provocarono conseguenze devastanti sullo scenario europeo: così come il Cardinale Richelieu e i Giacobini francesi riuscirono a emanciparsi, Napoleone III e la Francia pre-Seconda Guerra Mondiale s’isolarono, creando in questo modo i presupposti per l’attacco tedesco al cuore dell’Europa. Infine nello scenario regionale asiatico si ritrovano somiglianze con l’Europa post-napoleonica: in particolare l’Europa tra il Congresso di Vienna (1815) e i moti rivoluzionari del 1848. Osserviamo ora gli equilibri più rilevanti nell’area asiatica.

La principale forma di partecipazione nella regione asiatica trova espressione nell’APEC, un’organizzazione che riunisce entrambe le coste del Pacifico. Si tratta di un forum di interessi economici, e non di Stati sovrani, una sorta di prep-com, di sala d’attesa all’ingresso al WTO. Un esperto diplomatico di Singapore che ho incontrato recentemente a Ginevra, alla mia domanda: “Quali sono le vostre aspirazioni in questa sede?”, ha risposto: “Firmare il FTA, affiancare gli USA, registrarsi a Facebook e continuare a fare acquisti online senza problemi..”.

Altre due strutture trasversali, l’OIC e il NAM (il primo con un segretariato permanente, il secondo senza), rappresentano corpi multilaterali politicamente ben radicati nell’area asiatica. Si tratta, tuttavia, di forum inadeguati, dato che nessuna delle due assemblee dispone di un mandato preciso sui temi della sicurezza. Anche se tali due entità transcontinentali presentano un’adesione molto estesa (essendo il secondo e terzo sistema multilaterale più ampio, giusto dietro l’ONU), non sono, tuttavia, in grado di rappresentare l’intero panorama politico asiatico, dato che molti Stati importanti non sono ne sono membri e, in alcuni casi, si oppongono a tale sistema multilaterale.

Inoltre bisogna menzionare il KEDO (Nucleare) e il Gruppo di contatto (detto anche Quartetto/Gruppo 5+1) relativo alla questione nucleare iraniana. In entrambi i casi i temi trattati dai rispettivi gruppi riguardano la sicurezza, ma le tematiche sono affrontate con un approccio asimmetrico per limitare e contenere un singolo Stato attraverso un fronte più ampio di Stati periferici che si oppongono a una particolare politica di sicurezza, come in questo caso specifico della Corea del Nord e dell’Iran. La stessa situazione si ebbe con il SEAT, un’organizzazione di difesa di breve durata, la SEA, dissolta non appena la minaccia imminente del comunismo penetrò lentamente nell’Indocina francese.

Se alcuni degli scenari descritti sono una reminiscenza dell’Europa pre-napoleonica, la OCS e il CCG ricordano l’Europa post-napoleonica e l’Alleanza delle corti europee conservatrici guidate da Metternich. Entrambi gli assetti furono creati col pretesto di una minaccia esterna comune (ideologica e geopolitica), sulla considerazione condivisa di mantenere lo status quo in materia di sicurezza. L’asimmetrico CCG (Consiglio di Cooperazione del Golfo) rappresentava una realtà indotta dall’esterno, attraverso cui un alleato chiave degli USA in Medio Oriente, l’Arabia Saudita, unì l’insieme delle monarchie della penisola arabica. Il CCG rispondeva a un duplice intento. Originariamente, limitare l’avvento del panarabismo marxista di Nasser che stava introducendo un governo egalitario di tipo repubblicano in Medio Oriente. Inoltre, dopo la rivoluzione del 1979, si trattò anche di uno strumento di contro-bilanciamento all’influenza iraniana nel Golfo e nel più ampio scenario mediorientale. La risposta alla primavera araba del 2011 in Medio Oriente (compresa lo spiegamento di truppe saudite in Bahrein e, anche, l’analisi del ruolo influente del network Al Jazeera, con base nel Qatar e sostenuta dal CCG) rappresenta la miglior prova della reale natura del mandato del CCG.

La OCS (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) rappresenta, invece, un assetto nato da motivazioni interne all’area interessata e con una maggiore simmetria di forze [1] rispetto al CCG. Nacque in seguito a un riavvicinamento strategico di Russia e Cina (per la prima volta nella storia moderna si tratta di una relazione paritaria), con lo scopo di controbilanciare concorrenti esterni (USA, Giappone, Corea, India, Turchia e Arabia Saudita) e di mantenere le risorse, il territorio, la cultura socio-politica attuale e il regime politico nell’Asia Centrale, così come la vette del Tibet e la provincia dello Xinjiang.

Il prossimo scenario da considerare è il raggruppamento SAARC nel subcontinente indiano. Quest’organizzazione dispone di un mandato ben definito e di un segretariato qualificato e capace. Tale organizzazione ricorda molto, tuttavia, la Lega delle Nazioni. La Lega viene ricordata come un assetto altruistico che fallì più volte nel rispondere in maniera adeguata alle domande di sicurezza dei propri membri, così come alle sfide e alle pressioni di parti tenute fuori dal sistema (com’è il caso della Russia fino agli anni’30 e quello singolare degli USA, restati volontariamente al di fuori della Lega e, nel caso specifico del SAARC, pretendenti come Cina, Arabia Saudita e USA). Il SAARC si trova in realtà ostaggio del confronto fra i suoi due principali membri, nonché potenze nucleari: India e Pakistan. Entrambi i paesi lanciano sfide sul piano geopolitico e ideologico (l’esistenza di uno dei due presuppone la negazione dell’altro; per esempio il nazionalismo religioso del Pakistan rappresenta il rifiuto più totale alla società multiculturale della vicina India, e viceversa). Inoltre, nonostante il SAARC nasca da esigenza interne all’area, si tratta, comunque, di un’organizzazione asimmetrica. Il motivo principale non riguarda solamente le dimensioni indiane, ma soprattutto la posizione dello Stato indiano: la centralità dell’India rende, infatti, praticamente impossibile al SAARC operare in qualsiasi campo senza il diretto consenso dell’India, che si tratti di commercio, comunicazione, politica o sicurezza.

Per promuovere un serio avanzamento del multilateralismo e della fiducia comune, la volontà di compromesso e raggiungimento di un comune denominatore attraverso una co-esistenza attiva diventano le uniche chiavi possibili. Risulta, infatti, molto difficile costruire un comune corso di azione attorno agli Stati membri più forti e centrali.

Infine, troviamo l’ASEAN – un raggruppamento di dieci Stati del Sud-Est Asiatico [2] che esercitano un’equilibrata politica multi-vettoriale (basata sul principio della non ingerenza), sia all’interno sia all’esterno della regione sud-est asiatica. Tale organizzazione, con quartiere generale a Jakarta [3], in Indonesia, presenta un passato dinamico e un’attività presente ambiziosa. Si tratta di un assetto indotto da forze interne e relativamente bilanciato con i membri principali situati attorno al proprio centro geografico (come nel caso dell’equilibrio all’interno dell’UE con Germania-Francia/Gran Bretagna-Italia/Polonia-Spagna che si bilanciano a vicenda). Situato sull’asse geografico del fianco meridionale del continente asiatico, il cosiddetto triangolo Thailandia-Malesia-Indonesia rappresenta il perno dell’ASEAN, non solo in termini economici e di comunicazione, ma anche per il proprio peso politico nell’area. La Road Map della Comunità ASEA (2015), su modello UE, assorbirà, infatti, la maggior parte dell’energia dell’Organizzazione [4]. L’ASEAN, tuttavia, ha disposto i lavori in modo d’aprire il proprio forum al gruppo 3+3 in un forum pan-asiatico.

Prima di terminare la nostra breve panoramica sul continente asiatico, dobbiamo menzionare due forum informali inaugurati recentemente, entrambi basati su domande esterne per una condivisione di confine. Il primo, con un nome coniato dai banchieri di Wall Street [5], BRIC(S), comprende due delle principali potenze asiatiche in termini economici, demografici e politici (India e Cina), e una potenza periferica (Russia). Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan, Kazakhstan, sono alcuni altri paesi asiatici che per orgoglio nazionale e interesse pragmatico manifestano interesse all’adesione al BRIC. Anche il G-20, l’altro forum informale, si basa su accordi ad hoc che rispondono all’esigenza del G-7 di raggiungere una maggiore approvazione e sostenere le proprie azioni monetarie (accordo di scambio monetario) e finanziarie (austerity) introdotte a seguito della crisi finanziaria, non ancora terminata. Il BRIC e il G-20 non hanno, comunque, fornito agli Stati asiatici partecipanti un aiuto per limitare le pressioni delle periferie indigene, nonostante una maggiore presenza nelle sedi istituzionali internazionali stabilite a Bretton Woods. Facendo appello all’orgoglio nazionale, tuttavia, i due forum citati potrebbero distogliere le risorse e l’attenzione degli Stati asiatici dalle proprie pressioni interne e pan-continentali.

Oltre alla macchina della commissione per il disarmo dell’ONU, con base a Ginevra, di IAEA e pure dell’ASEAN (in quanto organizzazione più strutturata in Asia), i paesi asiatici non dispongono ancora di un forum adatto per risolvere le proprie questioni di sicurezza. Al momento un’organizzazione simile al Consiglio d’Europa o all’OSCE pare ancora molto lontana dal realizzarsi nel continente asiatico.

La nostra storia ci mette in guardia e allo stesso tempo fornisce una speranza. L’Europa precedente alla CSCE (Convenzione di Helsinki) era, infatti, un posto pericoloso dove vivere. La linea geopolitica e ideologica di default passava attraverso il cuore dell’Europa, tagliandolo a metà. L’Europa meridionale era retta da ben note dittature: Grecia (la Giunta dei Colonnelli), Spagna (Franco) e Portogallo (Salazar). La Turchia subiva, invece, il controllo dell’onnipotente establishment militare, che si invertì in Albania e vedeva nel caso di Tito un membro del Patto dei Non Allineati (di orientamento non-europeo), come la Jugoslavia. Due strumenti della presenza militare di USA (la NATO) e dell’URSS (il Patto di Varsavia) in Europa mantenevano eserciti stabili, arsenali convenzionali e non convenzionali, come l’armamento ABA e i sistemi di deterrenza reciproca, uno accanto all’altro. I confini europei non erano mutualmente riconosciuti. In breve, l’Ovest rifiutava anche solo di riconoscere molti dei governi dell’Europa Orientale, satelliti della nemica URSS.

Al momento in Asia si trova difficilmente un singolo Stato che non presenti una disputa territoriale coi propri vicini. Dal Medio Oriente al Mar Caspio, dall’Asia Centrale al sub-continente indiano, passando per l’Indocina o l’arcipelago SEA, fino al Tibet, al Mar Cinese Meridionale e all’Estremo Oriente, troviamo molti Stati alle prese con dispute territoriali, più o meno impegnative. Solamente il Mar Cinese Meridionale offre, per esempio, più di una dozzina di contese territoriali, dove nella maggior parte dei casi si vede la Cina premere sulle periferie per porre fine all’accerchiamento in atto da tempo. In tale mare si trova, inoltre, Taiwan, un’economia significativa, un territorio insulare in un limbo legale, che attende il raggiungimento d’un consenso panasiatico ed internazionale su quante Cine dovrebbero esservi al mondo.

Questioni territoriali irrisolte, irredentismi sporadici, armamenti convenzionali, ambizioni nucleari, conflitti sullo sfruttamento e l’accesso ai giacimenti petroliferi in mare, come ad altre risorse naturali, compreso l’accesso all’acqua potabile e alla sua fornitura rappresentano enormi fonti di stress alla sicurezza esterna e alla stabilità dell’Asia. Ulteriori pressioni provengono da problematiche ambientali emergenti, vere e proprie minacce alla sicurezza, non solo del piccolo Stato oceanico di Tuvalu [6], ma anche per paesi come Maldive, Bangladesh, Cambogia, regioni della Thailandia, dell’Indonesia, del Kazakhstan, delle Filippine, etc [7]. Tali problematiche, combinate con le dinamiche economiche e demografiche [8] che investono la regione, fanno dell’Asia un vero grande attore nelle relazioni internazionali.

Se risulta del tutto inappropriato paragonare la dimensione dell’Asia con quella dell’Europa (essendo la seconda più un’estensione dell’enorme massa asiatica, una specie di penisola asiatica occidentale), pare, invece, comparabile lo spazio di manovra interstatale. Lo spazio tra le maggiori potenze dell’Europa post-napoleonica era altrettanto stretto per qualsiasi manovra come lo è oggi quello di Giappone, Cina, India, Pakistan e Iran. Vediamo ora brevemente le peculiarità delle costellazioni nucleari in Asia. Osservando le analogie storiche, riscontriamo echi dell’epoca di monopolio nucleare americano e gli anni dei disperati tentativi russi di raggiungere la parità.

Oltre a detenere enormi quantitativi di armamenti convenzionali e un elevato numero di eserciti regolari, l’Asia ospita quattro (più alla sua periferia Russia e Stato d’Israele) delle nove potenze nucleari conosciute (dichiarate e non dichiarate). Solamente Cina e Russia sono membri del NPT (Trattato di Non Proliferazione), mentre dall’altro lato la Corea del Nord ne è uscita nel 2003 e India e Pakistan, entrambe potenze nucleari dichiarate, hanno rifiutato di firmare il Trattato. L’Asia, inoltre, rappresenta l’unico continente dove le armi nucleari siano state impiegate.
Come ben noto, l’apice della Guerra Fredda fu contrassegnato dal confronto geopolitico ed ideologico tra le due super potenze nucleari, le quali disponevano di un arsenale nucleare in grado di oscurare quello posseduto da tutte le altre potenze nucleari messe assieme. Anche se risultava difficile persino a USA ed URSS conoscere esattamente la forza nucleare del nemico [9], le due potenze si trovavano non solo ai poli opposti del globo, ma nel corso degli anni non ci furono neanche dispute territoriali e conflitti armati diretti.

Inoltre la costellazione nucleare asiatica è ancora più specifica, dato che ogni detentore di arma nucleare presenta una storia di ostilità (scontri armati e confronti su questioni territoriali irrisolte lungo i confini condivisi), combinata con rivalità ideologiche perdurate nel tempo. L’URSS visse frizioni armate con la Cina per la demarcazione del lungo confine che correva fra le due potenze. La Cina ha combattuto una guerra con l’India ed ha acquisito un guadagno territoriale significativo. L’india a sua volta ha fatto quattro guerre con il vicino Pakistan a causa della regione contesa del Kashmir e di altre dispute territoriali di confine. Infine, la penisola coreana ha visto direttamente il confronto militare di Giappone, URSS, Cina e USA sul proprio territorio, rimanendo tutt’ora una nazione spaccata da un conflitto ideologico. Sul lato occidentale del continente euroasiatico, nemmeno Francia, Gran Bretagna, Russia e USA hanno una storia (recente) di conflitti armati. Tali Stati non condividono neanche un confine territoriale.

Infine, solo India e Russia post-sovietica dispongono di un pieno controllo civile sul proprio esercito e sull’autorizzazione all’uso della forza nucleare. Nel caso della Corea del Nord e della Cina, invece, il controllo è oggi esercitato da una leadership comunista imprevedibile e non trasparente, lontano da un processo decisionale democratico. In Pakistan si trova completamente nelle mani degli onnipresenti vertici militari. Il Pakistan ha vissuto sotto un governo militare per più della metà della propria esistenza indipendente.

Quello che infine tenne lontano USA e URSS dal ricorrere ad armi nucleari fu il pericolo della cosiddetta “mutua distruzione assicurata”. Già alla fine degli anni ’50 entrambe le parti raggiunsero la parità nel numero e tipo di testate nucleari, come del resto nel numero e nella precisione dei rispettivi vettori. Entrambe le potenze produssero, infatti, abbastanza armamenti, depositi segreti e siti di lancio per poter sopravvivere tranquillamente al primo impatto e per mantenere una capacità di seconda risposta, in caso di attacco [10]. Una volta chiaro che né l’attacco nucleare preventivo, né quello non preventivo avrebbero portato a una vittoria decisiva, ma avrebbero piuttosto condotto a un olocausto nucleare globale e alla mutua distruzione totale, gli Americani e i Sovietici raggiunsero un equilibrio del terrore attraverso la deterrenza. Sebbene non si trattasse di una parità concordata, ma della MAD (con il suo effetto tranquillizzante dovuto alla deterrenza di armi nucleari, se possedute in quantità sufficiente, non facilmente valutabili dall’esterno), si arrivò a una alquanto bizzarra situazione di stabilità pacifica fra le due super potenze.

Come notato, l’arsenale nucleare presente in Asia è considerato modesto [11]. Il numero di depositi, siti di lancio e vettori non sono sufficienti e nemmeno altrettanto sofisticati per offrire una capacità di risposta in caso di attacco. Tale realtà compromette seriamente stabilità e sicurezza: un attacco nucleare preventivo o non preventivo a uno Stato nucleare o non nucleare potrebbe essere contemplato come decisivo, specialmente nella penisola coreana, senza dimenticare di menzionare il Medio Oriente [12].

Una massima basilare della geopolitica afferma che la minaccia potenziale corrisponde a quella reale:la vicinanza geografica delle potenze nucleari asiatiche significa un minore tempo di volo e un altrettanto breve periodo decisionale. Una guerra nucleare accidentale risulta, quindi, uno scenario del tutto possibile. Uno dei più grandi pensatori e filosofi del XX secolo, Erich Fromm scrisse: “L’uomo può solo andare avanti sviluppando la (sua) ragione, attraverso la ricerca di una nuova armonia…” [13].

Esiste sicuramente una lunga strada dalla visione e saggezza a un impegno politico chiaro ed accordi condivisi. Una volta raggiunta, tuttavia, gli strumenti operativi sono pronti all’uso. Il caso dell’Europa di Helsinki risulta molto istruttivo. Ad essere sinceri, fu la sovra estensione delle due superpotenze a portarle infine al tavolo negoziale. Un ruolo importante fu giocato anche dal costante richiamo dell’opinione pubblica che allertò i governi su entrambi i lati della cortina di ferro. Una volta definite le considerazioni politiche, i tecnicismi presero tempo: all’inizio ci fu il mutuo riconoscimento paneuropeo dei confini che calmarono tensioni di vecchia data. La cooperazione politico-militare fu collocata nel cosiddetto primo cesto della conferenza di Helsinki, il quale includeva ispezioni militari condivise, meccanismi di scambio, costante flusso d’informazioni, strumenti preventivi di allarme, meccanismi volti a misure di costruzione della fiducia (confidence-building) e un raggruppamento stabile di Stati rappresentativi (il cosiddetto Consiglio Permanente), In seguito un importante tema fu collocato nel cosiddetto secondo cesto, il forum che collega temi economici ed ambientali, proprio quelle tematiche così interessanti oggi per l’Asia.

Il terzo cesto OSCE era una fonte di controversie negli anni passati, per lo più dovute all’interpretazione dei mandati. Tuttavia la nuova ondata di nazionalismo (che spesso sostituisce il comunismo), le cariche emotive e le paure residue del passato, la formazione estesa e dinamica della classe media asiatica (le cui passioni e affiliazioni sfideranno inevitabilmente le proprie elite interne e porranno in questione le loro politiche internazionali), e la relativa ricerca di un nuovo consenso sociale, tutto questo potrebbe essere indicato come una sorta di “terzo cesto” asiatico. Un’ulteriore crescita socio-economica in Asia è chiaramente impossibile senza la creazione e la mobilitazione di una forte classe media – un segmento della società che, di fronte alle novità dell’orizzonte socio-politico, è tradizionalmente molto esposto e vulnerabile a cambiamenti distruttivi. A qualsiasi grado. Ci sono molti Stati asiatici [14] tra gli osservatori OSCE: dalla Thailandia alla Corea, al Giappone (con l’Indonesia, una nazione che sta considerando al momento l’adesione al forum). Tali Stati stanno traendo beneficio dalla loro partecipazione. [15]

Il più esteso continente al mondo dovrebbe, quindi, prendere in considerazione la creazione di un suo proprio meccanismo multilaterale panasiatico. In tal modo, potrebbe seguire la visione e lo spirito di Helsinki. Dal punto di vista degli assetti, l’Asia potrebbe rivisitare attentamente gli esempi di forum offerti dal ben progettato SAARC e dall’ambizioso ASEAN [16]. Dall’esame di tali due organismi regionali, l’Asia può trovare e sapientemente calibrare l’equilibrio più appropriato per estendere e approfondire il mandato (di sicurezza) di tali future organizzazioni multilaterali, dato il numero di Stati e la gravità delle pressioni socio-politiche e delle sfide ambientali e politico-militari.

Nell’età del successo senza precedenti e della prosperità imparagonabile dell’Asia, un accordo multilaterale panasiatico si presenta come un’opportunità. Riprendendo la famosa frase di Hegel: “Libertà è (…) un’intuizione alla necessità”, fatemi concludere affermando che la necessità di un’organizzazione panasiatica appare molto urgente.
Chiaramente, non ci sarà emancipazione del continente né alcun “Secolo asiatico” senza un sistema multilaterale asiatico.

(Traduzione di Sarah Ashauer)


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