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Non ci sono più insegnanti maschi?Sui lavori “da donna” e i lavori “da uomo”

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Questa mattina su Repubblica, versione cartacea, leggevo un articolo sulla scomparsa del maestro e sull’insegnamento come lavoro sempre più al femminile. Nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie la percentuale di uomini-maestri è bassissima, si alza leggermente nelle medie e nelle superiori, comunque la tendenza degli ultimi anni è stata quella di una progressiva diminuzione dei maschi nell’ambito dell’insegnamento e dell’educazione.
Mi sembra molto interessante riflettere sul perché di questa tendenza. Nell’articolo di Repubblica si sosteneva che questa diminuzione degli uomini nelle professioni legate all’insegnamento è direttamente proporzionale alla diminuzione del prestigio sociale della figura dell’insegnante.
Stipendi da fame, mancata progressione di carriera, posizione bassa nella scala sociale, sembrano far scappare gli uomini da questa professione, per farli ricomparire poi magicamente come professori ordinari-associati nelle Università insieme a prestigio e stipendio alto.
Personalmente ritengo che questa analisi di Repubblica non sia sbagliata, triste sì, perché infondo ci dice che le donne hanno aspettative lavorative più basse rispetto agli uomini e che le professioni considerate femminili hanno un minor prestigio sociale.
Un’altra motivazione che mi sentirei da aggiungere, nel tentare di spiegare il perché di questa tendenza, forse ancora più triste della precedente,  risiede nel fatto che il lavoro di insegnante lascia più tempo libero rispetto ad altri, principalmente si svolge in mattinata, di conseguenza permetterebbe alle donne di conciliare lavoro, casa e bambini.
Il lavoro nella scuola sarebbe il “preferito” delle donne perché non chiede di scegliere tra lavoro e famiglia e permetterebbe loro  di non venir meno ai ruoli di cura per i quali la società le vuole “naturalmente” portate.
Che poi, se le donne sono “naturalmente” inclini ai lavori di cura, fare la maestra o l’educatrice per loro è perfetto, perché sono lavori che vanno a configurarsi in quell’ambito di accudimento per cui le donne sembrano proprio essere nate, a differenza degli uomini che questi lavori non sanno proprio farli!

Le donne parrebbero condannarsi a un’autosegregazione di genere già nel momento in cui scelgono i loro studi superiori o universitari. Le facoltà umanistiche hanno una maggiore presenza femminile, la facoltà di Scienze della Formazione Primaria, che forma insegnanti dell’infanzia ed elementari, è frequentata quasi esclusivamente da donne. È anche vero che la percentuale femminile è significativamente aumentata in facoltà tradizionalmente considerate maschili, come ingegneria, anche se molte di quelle donne sembrano poi scomparire, o ricoprire ruoli più bassi, nelle professioni legate a quegli studi.

I condizionamenti che determinano poi queste scelte vengono messi in atto in età molto precoce.
Qualche mese fa ero ad un convegno sugli stereotipi di genere  e mi ha colpita molto l’analisi di una ricercatrice del “Centro studi sul genere e l’educazione” di Bologna nella quale risultava che, nelle scuole elementari, i bambini hanno già acquisito la distinzione tra materie maschili e femminili.
La matematica è una materia da maschi, l’italiano è una materia da femmine.
A sei anni le bambine si considerano già meno brave in matematica rispetto ai coetanei maschi; i genitori sono portati ad aiutare le bambine nei compiti di matematica di più rispetto alle altre materie.
Questo ci fa capire che gli stereotipi di genere nell’educazione e nell’insegnamento sono radicatissimi, nonostante le bambine spesso non abbiano reali problemi con la matematica o le materie scientifiche, si considerano comunque meno brave rispetto ai maschi, perché hanno acquisito l’idea che loro, in quanto donne, non sono “portate” per quelle materie, loro non sono nate per i numeri e i conti, per questo motivo gli uomini in quelle materie saranno “naturalmente” più bravi di loro.
Questi condizionamenti porteranno le bambine ad avere minori aspettative lavorative, magari orientando i loro studi universitari verso un percorso umanistico, a differenza dei maschi che invece sceglieranno in maggioranza percorsi scientifici volti a professioni di maggior prestigio sociale ed economico.
Eppure i dati ci dicono che le donne hanno risultati più positivi degli uomini, che il numero di laureate è maggiore di quello dei laureati, in pratica che le donne sono più brave degli uomini.
Ma perché le donne sono più brave degli uomini? Due sono, a mio parere, le possibili risposte a questa domanda. La prima che mi viene in mente è perché le donne vogliono e devono emanciparsi, devono essere più brave degli uomini per ribellarsi al ruolo di mamme e casalinghe in cui, ancora oggi, questa società sembra volerle inquadrare, perché devono dimostrare che non esistono materie o professioni da maschi e materie o professioni da femmine.
Oppure le donne sono più brave degli uomini perché sono più rispettose delle regole, perché sono più ligie al dovere? Lo stereotipo vuole che le bambine siano buone, calme e adorabili. È questo che le rende poi delle studentesse migliori?
Non so, non so se essere rispettose delle regole renda più brave a scuola, ma se le regole sono queste, se le regole chiedono ancora alle donne di dimostrare di essere capaci di fare lavori “da uomini”, se ancora si pensa che esistano lavori da donne e lavori da uomini, allora meglio infrangerle le regole, allora donne, ragazze, bambine non siate ligie al dovere, non siate rispettose delle regole, ma siate ribelli!



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