Come può reggere un sistema in cui uno
stenografo arriva a guadagnare quanto il
re di Spagna? Sembra impossibile, ma è così. Senza il taglio del 10% imposto per tre anni da
Giulio Tremonti per i redditi oltre i 150 mila euro, uno stenografo al massimo livello retributivo arriverebbe a sfiorare uno
stipendio lordo di
290 mila euro. Solo
2mila meno di quanto lo Stato spagnolo dà a
Juan Carlos di Borbone,
50 mila più di quanto, sempre al lordo, guadagna
Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica:
239.181 euro. Per carità, non «ruba» niente. Esattamente come
Ermanna Cossio che conquistò il record mondiale delle baby-pensioni lasciando il posto da bidella a 29 anni col 94% dell'ultimo stipendio, anche quello stenografo ha diritto di dire: le regole non le ho fatte io. Giusto. Ma certo sono regole che nell'arco della carriera permettono ai dipendenti di
Palazzo Madama, grazie ad assurdi automatismi, di arrivare a quadruplicare in termini reali la busta paga. E consentono oggi retribuzioni stratosferiche rispetto al resto del paese cui vengono chiesti pesanti sacrifici.
PARLAMENTO
Al lordo delle tasse e dei tagli tremontiani, un commesso o un
barbiere possono arrivare a
160 mila euro, un
coadiutore a
192 mila, un
segretario a
256 mila, un
consigliere a
417mila. E non basta: allo stipendio possono aggiungere anche le indennità.
Alla
Camera un
capo commesso ha diritto a un supplemento mensile di
652 euro lordi che salgono a
718 al
Senato. Un
consigliere capo servizio di
Montecitorio a una integrazione di 2.101, contro i 1.762 euro del collega di palazzo Madama. Per non dire dei livelli cosiddetti «
apicali». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai rapporti col Parlamento
Antonio Malaschini, quando era
segretario generale del
Senato, guadagnava al lordo nel 2007, secondo l'Espresso,
485 mila euro l'anno.