Nell’atmosfera pulsante di queste ultime giornate di primavera, non dimenticate una visita al Maxxi di Roma. Il Maxxi merita sempre per il suo ardimento espositivo e la sua tempestività visionaria sui temi vitali della storia recente, un passaggio dalle sue porte ciclopiche.
Il titolo, Sue proprie mani, una sigla epistolare d’altri tempi, quasi un primitivismo nella stagione della comunicazione digitale, è denotativo per una mostra di carte che non hanno, al contrario, mai conosciuto la destinazione, un’allegoria di ordinario dolore quotidiano reiterato e protratto, e mette in luce una travagliata vicenda di missive in entrata e in uscita dall’Albania che non ha avuto risposte.
Le lettere di cui potrete ascoltarne la lettura recitata, narrata dai cinque video che vanno a comporre la complessità dell’installazione, realizzati nell’ex palazzo di Re Zog a Durazzo, sono state recentemente rinvenute nell’Archivio di Stato albanese, in sacchi di corrieri inevasi, destinate o inoltrate da militi italiani trattenuti fra le mura balcaniche fino all’avvio delle relazioni diplomatiche del 1949.
Come nel fluttuare lattiginoso degli ultimi fotogrammi del film del 2006 Nuovomondo di Emanuele Crialese, in cui candore e aspettative dettate dall’esodo dell’emigrazione italiana d’inizio del ventesimo secolo, sono stati capaci di dar vita ad un’apnea surreale, l’installazione prodotta da Paci trasluce un orizzonte alternativo nella sintesi della globalizzazione moderna che va oltre la connotazione sociologica del puro nomadismo esistenziale e invade l’identità dell’essere.
Al pari del poeta ellenistico Callimaco, dunque, Sue proprie mani rigetta i facili roboanti
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